Chi è nato nell’ultimo mezzo secolo non aveva mai potuto entravi. Adesso lo farà, perché cinquantaquattro anni dopo il terremoto del Belìce ha riaperto la chiesa Madre di Montevago, in provincia di Agrigento. “E’ stato uno dei momenti più emozionanti della mia vita”, ha detto la sindaca, Margherita La Rocca Ruvolo. Così “la vecchia chiesa Madre torna ad essere un luogo di culto dove pregare e ricevere la benedizione del Signore», ha aggiunto l’arciprete, don Giuseppe Coppola. Cerimonia di riapertura (con una piece sul dramma del sisma dell'attore Nicola Puleo e l’esecuzione di un brano composto dal violoncellista Mauro Cottone e cantato da Eleonora Tabì) dopo la deposizione di una corona al monumento dedicato alle vittime del sisma e una fiaccolata. Una “giornata storica per Montevago - è andata avanti ieri sera la sindaca -, la cattedrale è simbolo del paese, ci siamo riappropriati della nostra memoria”.
Ed è stata inaugurata, l’altro ieri, anche la mostra “Salvati e Ritrovati”, promossa dall’amministrazione comunale con l’Arcidiocesi di Agrigento, che espone i reperti e gli oggetti sacri rinvenuti durante i lavori di catalogazione e restauro della chiesa madre che fu distrutta dal terremoto.
Il 14 gennaio 1968 - si legge sul sito della Protezione civile - “furono avvertite le prime scosse: tremò tutta la Sicilia occidentale, non si registrarono crolli, ma la gente fu presa dal panico e decise, fortunatamente, di dormire all’aperto”. Fu una saggia scelta, perché poi “in piena notte si verificò una scossa violentissima”, di magnitudo 6.1, che “colpì la Valle del Belice, dove subirono danni gravissimi Gibellina, Salaparuta, S. Ninfa, Montevago, Partanna, Poggioreale e Santa Margherita Belice, compresi nei territori delle province di Trapani ed Agrigento che, all’epoca del terremoto, non erano classificati sismici”. Morirono 296 persone e “il 90% del patrimonio edilizio rurale subì danni irreparabili”.
Dieci giorni dopo, il 25 gennaio alle 10.52, una violenta replica “travolse una squadra di soccorritori all’opera tra le macerie, provocando la morte di un vigile del fuoco”, oltre che danni danni a Sciacca ed a Palermo, “dove si svuotarono le scuole, gli uffici, le abitazioni e si tornò a dormire all’aperto”.
Infine, appunto cinquantaquattro anni dopo, i sindaci del Belìce potranno anche presentare alla Regione, entro il prossimo 20 gennaio, progetti per ottenere dieci milioni di euro già stanziati dal governo Musumeci per la realizzazione di infrastrutture pubbliche.