Lucia Aleotti, azionista e membro del board dell'azienda farmaceutica Menarini
«Fino a quando continueremo a considerare le infezioni come malattie di serie b rispetto al cancro o a quelle cardiovascolari, basterà un virus a scardinare le nostre strutture economiche, sociali, umane. Credo sia questa la lezione più disarmante della pandemia». Nel suo elegante ufficio all’ultimo piano dello storico stabilimento di famiglia che sorge a pochi passi dal centro di Firenze, Lucia Aleotti, azionista unica, assieme al fratello Alberto Giovanni, della prima casa farmaceutica italiana, la Menarini, pronuncia queste parole infondendo ulteriore amarezza al caffè che sorseggia.
Ammetterà, dottoressa Aleotti, che nessuno poteva prevedere…
Fino a un certo punto. C’è una ciclicità delle pandemie dovute a malattie infettive. In azienda da anni seguiamo un ambito legato alle infezioni, quello dell’antibiotico resistenza. Studiamo i batteri che resistono a tutti gli antibiotici. È uno dei nostri maggiori filoni di investimento.
E anche uno dei più fruttuosi?
No. Abbiamo poche soddisfazioni sul versante business.
E allora perché insistete?
Perché ogni anno, solo in Europa, 30.000 persone muoiono a causa di infezioni ospedaliere incurabili. Una persona sana entra in ospedale per una banale protesi di anca ma poi incontra un batterio resistente agli antibiotici e muore. È inaccettabile.
Eppure gli enti regolatori non sembrano appassionarsi più di tanto a questa nuova classe di farmaci.
Guardi, a livello mondiale gli antibiotici rappresentano la cenerentola della farmaceutica: per evitare che nascano nuove resistenze, si cerca di restringere l’utilizzo dei nuovi farmaci. I quali dovrebbero essere trattati come quelli per le malattie rare, con maggiori riconoscimenti, cioè, in termini di prezzo e rimborso. Ma questo non accade perché gli enti regolatori tendono a paragonare i nuovi antibiotici a quelli vecchi.
Nell’immaginario collettivo è il potere delle case farmaceutiche a determinare scelte politiche e prezzi…
Sa che il "plus" per nuovi farmaci, che hanno richiesto investimenti di centinaia di milioni, può tradursi in pochi centesimi a confezione? In questo modo si impedisce il ritorno dagli investimenti che è il punto centrale perché aziende come la nostra possano continuare a fare ricerca.
Perché non avete cercato anche voi un vaccino?
Perché chi lo ha fatto ha maturato una specifica competenza nei vaccini che noi non abbiamo.
È giusto sospendere i brevetti del vaccino per renderlo disponibile a tutti, come ha chiesto il Papa?
Le parole del Papa sono sempre fonte di ispirazione e riflessione. Promuovere il bene e la salute comune è la missione dell’industria farmaceutica. E lo ha dimostrato in quest’ultimo anno, riuscendo a portare a disposizione dei pazienti di tutto il mondo vaccini in tempi brevissimi. Le aziende hanno investito centinaia e centinaia di milioni e molte di queste non hanno ottenuto i risultati sperati, subendo ingenti perdite. In questo contesto, il brevetto rappresenta l’unica spinta a incentivare ancora di più la ricerca, in modo che si possano trovare vaccini sempre nuovi, anche per le varianti. Nella direzione contraria, tutto questo si ferma e le varianti galoppano.
Ma allora come rendere disponibile il vaccino a tutti?
Il problema si risolve con un aumento della capacità produttiva. Le aziende che posseggono i brevetti si stanno appoggiando su altre industrie, in qualche caso anche concorrenti, in uno spirito di alleanza globale mai visto prima. Nessun farmaco è mai stato prodotto in miliardi di dosi tutte insieme, ma l’industria farmaceutica sta facendo enormi sforzi per garantire a tutti l’accesso al vaccino.
C’è un’accresciuta responsabilità sociale per le aziende della vostra dimensione e importanza in un momento drammatico come questo?
La avvertiamo tutta. Abbiamo risposto alle necessità del Paese donando oltre 400 tonnellate di gel disinfettante alla Protezione civile e agli organismi di assistenza. E aderendo, con una sola stretta di mano, all’appello di Toscana Life Sciences (Tls) che lavora ad un nuovo anticorpo monoclonale e che aveva bisogno di un "braccio produttivo". Siamo in sperimentazione clinica.
Investite sull’area delle malattie infettive ma intanto strizzate l’occhio a quella oncologica, spendendo 677 milioni di dollari, nel 2020, per rilevare l’azienda biofarmaceutica statunitense Stemline Therapeutics. Perché?
Ci pensavamo da anni. Ma ora siamo più pronti anche grazie ad una ceo e a un board internazionale. Arrivare negli Usa con un asset in campo oncologico non era facile. L’anno scorso si è presentata l’opportunità di acquisire un’azienda biotech, quotata al Nasdaq, e abbiamo portato avanti l’operazione nonostante lockdown, stop ai viaggi e fuso orario. È stata un’impresa sfidante.
Ma gli effetti iniziano a farsi sentire.
Un farmaco per una patologia oncoematologica rara è già in commercio negli Usa. E ora sta arrivando in Europa. Contiamo sullo sviluppo di ulteriori molecole contro il cancro.
Non può dirci di più?
L’Fda sta monitorando un altro nostro ritrovato per la cura di un tumore cerebrale aggressivo, il glioblastoma. Siamo fiduciosi.
A proposito di cancro. Dalle piattaforme Rna utilizzate contro il Sars-CoV-2 arriveranno nuove armi contro questa ed altre malattie?
Sì. Sono oltre 10 anni che si lavora in questa direzione. La strada è interessante ma non è l’unica. Oggi si lavora a tanti filoni per comprendere come si "muovono" le cellule tumorali. 20 anni fa c’era "il" tumore del seno… Oggi sappiamo che ci sono decine di tumori del seno, ognuno più o meno sensibile ad un farmaco. Il nostro cuore resta però la "medicina territoriale": investiamo dunque nella cardiologia, nell’area respiratoria, nell’urologia. A livello geografico poniamo un’importanza strategica nell’Europa dell’Est, nell’Asia, in particolare nella Cina.
Ma il centro di tutto resta Firenze…
Assolutamente. Abbiamo da poco annunciato la costruzione di un avveniristico stabilimento alle porte della città da 150 milioni di euro e che creerà 500 posti di lavoro.
A cosa servirà?
Vi produrremo prevalentemente farmaci per malattie cardiovascolari e antivirali, che esporteremo nel mondo.
Menarini che raddoppia gli sforzi in Italia e che fa shopping negli Usa è un segnale della buona salute di cui gode la farmaceutica italiana?
Con 34 miliardi di euro di produzione, la nostra industria farmaceutica si gioca, con la Germania, il primo posto in Europa. Si può fare di più. A partire dalle modalità con cui l’Italia tratta i tuoi prodotti quando si va a discuterne il ruolo nel Servizio sanitario nazionale. Prenda gli Usa. Gli ultimi due presidenti hanno stanziato miliardi per la ricerca e la produzione in loco di farmaci. Abbiamo bisogno di una politica nazionale ed europea che comprenda il valore dei farmaci e dell’innovazione e che non ne valuti l’importanza solo sul piano della spesa.
I Paesi che investono "in loco" che ritorni hanno?
Enormi in termini di ricerca, formazione, manifatturiero, occupazione. L’Ue dovrebbe essere cosparsa di stabilimenti e centri di ricerca farmaceutica, a impatto ambientale zero, e incentivare investimenti, a partire dalla formazione universitaria. È normale che, in Italia, si formino solo medici in relazione a quelli previsti dal Ssn? E l’industria farmaceutica dove li trova?
L’economia sta ripartendo?
La ripresa va di pari passo con l’andamento della pandemia. I segnali dagli indici manifatturieri sono positivi. Vaccini e comportamenti responsabili possono farci uscire dall’emergenza. La guida dell’attuale governo ci autorizza ad essere ottimisti.
A patto che si rispetti la scienza, non crede? I vaccini sono farmaci. E una piccola ma agguerrita fetta della popolazione li considera dannosi, per usare un eufemismo…
Quanti anni ci ha messo l’umanità ad accettare il concetto che il mondo fosse tondo e non piatto? C’è comunque una frangia di persone che ha paura della scienza, favorita anche da una comunicazione non sempre impeccabile. Sentir dire che questi vaccini sono sperimentali o che l’Rna serve per controllare le persone, mi fa domandare: abbiamo spiegato che le ricerche sull’Rna vanno avanti da diversi anni e che questo vaccino è la punta dell’iceberg di milioni di ore di lavoro dei migliori scienziati del mondo?