Un laboratorio dell'Ospedale Colli di Napoli - Ansa
Per passare ai fatti, che tanto più delle parole piacciono al premier Mario Draghi, bisognerà aspettare ancora qualche giorno. Ma quelle che erano solo voci di corridoio, ieri sono diventate quasi una certezza: l’accelerazione sul Piano vaccinale ci sarà. A cominciare dai territori, dove si gioca (e si giocherà da aprile in avanti, quando milioni di dosi di vaccini arriveranno nel nostro Paese in base al programma di acquisti di Bruxelles) la sfida delle immunizzazioni.
Intanto l’ipotesi delle Primule è destinata a scomparire quasi del tutto, salvo forse qualche operazione simbolica (che comunque dipenderà dalle richieste locali): troppe lungaggini e inutile dispendio di risorse per costruirle, quando da Nord a Sud le Regioni si stanno già organizzando – con successo – con spazi liberi come caserme, teatri, auditorium, fiere, persino chiese.
È il modello inglese: si vaccina dove si può, basta sollevare paratie e avere percorsi dedicati di ingresso, attesa e uscita. E in questo senso i sindaci hanno dato ieri la loro piena disponibilità al commissario straordinario Domenico Arcuri e al ministero della Salute per partecipare attivamente alla campagna: «Offriremo gli impianti, le strutture per stabilire punti di vaccinazione, garantiremo la capillarità dell’operazione – spiega in una lettera inviata alla neoministra agli Affari regionali, Mariastella Gelmini, l’Anci – ma per servizi come pulizia e custodia occorrerà anche far fronte a spese straordinarie che non potranno essere sostenute dai soli Comuni».
L’altra svolta si registra sul fronte della gestione del Piano. Che, con ogni probabilità, passerà dalle mani di Arcuri a quelle della Protezione civile (che dipende da Palazzo Chigi direttamente) e dell’Esercito. Non è una bocciatura della struttura commissariale, s’intende: è qui che si continuerà a gestire tutto il capitolo degli approvvigionamenti delle dosi e probabilmente anche della distribuzione. Ma l’organizzazione pratica della campagna potrebbe passare di mano, accontentando così le insistenti pressioni politiche sulla rimozione di Arcuri (ancora ieri Salvini e Meloni hanno attaccato il commissario) e provando a tamponare le fughe in avanti delle Regioni, sempre più determinate ad acquistare vaccini in proprio.
Intanto l’unica certezza: serve correre. Più veloce del virus e delle sue varianti, che potrebbero complicare la vita non poco nei prossimi mesi. L’ultima novità, ieri sera, è arrivata da Napoli, dove l’Istituto Pascale e l’Università Federico II hanno comunicato di aver scoperto «un’altra variante del Covid-19, mai individuata prima in Italia». Ieri a ribadire la preoccupazione espressa dagli esperti è stato l’infettivologo dell’ospedale Sacco di Milano, Massimo Galli, che ha spiegato come il suo reparto sia già «invaso» dalle mutazioni del virus e che ha ribadito la necessità di un nuovo lockdown.
Un’ipotesi per ora scartata dal nuovo governo, che starebbe invece pensando – questa un’altra attesa, probabile svolta dei prossimi giorni – a un inasprimento dei criteri con cui oggi si decidono i colori delle Regioni, così da tornare in fretta ad avere un’Italia più arancione che gialla. Il tutto mentre dal ministero arrivano buone notizie sul fronte di AstraZeneca: dopo una riunione operativa con le Regioni, si sarebbe deciso di procedere con le vaccinazioni anche sopra i 55 anni e fino ai 65.
Una mossa che permetterebbe un’ulteriore accelerazione della campagna vaccinale e che ora aspetta soltanto il via libera della Commissione tecnico scientifica dell’Aifa. Se i vaccini arriveranno, ovviamente: da inizio febbraio, tra ritardi e mancate consegne, l’Italia s’è accontentata di vaccinare una media di 80mila persone al giorno, con punte di 100mila. Siamo a oltre 3 milioni di iniezioni, 1,3 milioni di richiami. Per arrivare ai 20 milioni previsti per giugno la strada è ancora lunghissima.