L'ex premier Renzi e il ministro Calenda (Ansa)
Il Pd è sull'orlo di una crisi di nervi. Dopo le dimissioni dalla segreteria di Matteo Renzi, che però ieri ne rinviava l'efficacia alla fase successiva alla nascita di un nuovo governo, il partito è letteralmente esploso. Da Zanda a Martina, da Orlando a Emiliano, da Macaluso a Damiano, Renzi è finito sotto accusa per tre motivi: per non aver lasciato la guida del partito con effetto immediato; per non aver "concertato" la scelta di stare all'opposizione e di non aprire alcun dialogo per il governo con M5S o centrodestra; per aver imputato la sconfitta alla decisione di non andare al voto dopo il referendum del 2016 (un implicito attacco al capo dello Stato Mattarella) e alla campagna elettorale "tecnica" (un implicito attacco al premier Paolo Gentiloni).
Il chiarimento di Renzi: dimissioni vere. Ma forse non guiderà il Pd alle consultazioni
Il livello degli attacchi è così forte che Renzi ha dovuto chiarire più volte in mattinata: "Le mie dimissioni sono vere". E aprono la "fase congressuale come prevede lo Statuto". Lunedì ci sarà la Direzione dem, quindi si convocherà l'Assemblea per l'indizione del Congresso e delle primarie. I big del partito avrebbero preferito un altro metodo, una gestione collegiale per transitare in una nuova fase, con Renzi fuori dai giochi. L'ex premier teme che dietro questa posizione ci sia altro: "Chi vuole andare al governo con M5S lo deve dire apertamente lunedì in Direzione". Insomma, niente decisioni prese con i vecchi "caminetti". Per il segretario e i fedelissimi che gli sono rimasti vicino, il Pd non può essere la "stampella" né della Lega né di M5S: "I cittadini ci hanno messo all'opposizione". "Basta attacchi personali, mi sono dimesso, cosa devo fare di più? I giornali continuano a parlare di me, si occupino di chi ha vinto e ora deve assumersi la responsabilità di un governo", si sfoga poi su Facebook. Lo sfogo è dovuto anche a una notizia data dal giornalista di Repubblica Massimo Giannini, secondo il quale Renzi, in un messaggio privato, gli avrebbe scritto "io me ne vado a sciare" nei giorni delle future consultazioni al Colle. "La notizia che vado a sciare è falsa". Tuttavia non è un'ipotesi del terzo tipo che il segretario dimissionario lasci le consultazioni al Quirinale esclusivamente ai capigruppo. Mentre si litiga, ci sono anche i tessitori che provano a ricucire. Il ministro dell'Agricoltura Maurizio Martina ha annunciato che lunedì in Direzione la relazione introduttiva la farà lui. Con il sostegno, tra gli altri, di Dario Franceschini: "Aiuteremo Maurizio a tenere il partito unito". Non si esclude nemmeno che nelle decisioni immediate possa essere consultata la base del Partito democratico. Intanto due dei leader della minoranza, il governatore pugliese Michele Emiliano e Francesco Boccia, sono espliciti: "Apriamoci a M5S, valutiamo l'impatto sul deficit del reddito di cittadinanza".
Calenda: mi iscrivo al partito, voglio sollevarlo. L'applauso di Gentiloni
Mentre tutto ciò accade, nuovi protagonisti si affacciano. Si dà per scontato che Renzi, dopo le dimissioni, non si ripresenterà alle primarie per la segreteria del partito per fare a tempo pieno "il senatore di Firenze-Scandicci". C'è già però chi si candida a sostituirlo. E' Carlo Calenda. "Stamattina mi sono iscritto al Pd", scrive il ministro dello Sviluppo economico su Twitter. L'intento, si schernisce, "è dare una mano" perché con o senza Renzi "non bisogna fare un altro partito ma risollevare quello che c'è". I social dei politici di centrosinistra impazziscono all'annuncio. Ci sono le congratulazioni del premier Gentiloni (che ieri ha sentito telefonicamente Merkel, Macron e gli altri leader europei), del renziano Richetti, dei capicorrente di ogni ordine e grado. Ma anche di esponenti di Leu come il governatore toscano Enrico Rossi. Alla fine anche Renzi fa sapere di avergli telefonato per ringraziarlo nonostante i duri scontri delle ultime settimane. C'è anche un'altra mezza candidatura alla segreteria di pari autorevolezza, quella del governatore piemontese Sergio Chiamparino: "Io segretario? Perché no...". La mossa di Calenda si inserisce sia nel quadro di una lunga traversata nel deserto (il ministro condivide infatti la linea dell'opposizione) sia nel quadro di un ritorno alle urne a stretto giro con un nuovo candidato-premier del centrosinistra.
Salvini e Di Maio ancora in festa iniziano a fare i conti con i numeri
Intanto i due vincitori delle elezioni, Salvini e Di Maio, continuano a mandare messaggi all'insegna della felicità per il riscontro di domenica alle urne. "L'Italia può tornare a volare, ce la metterò tutta", dice il leader del Carroccio. "Al Quirinale ci andremo compatti da centrodestra. Se ci chiamano, sono pronti". In questo modo conferma che la sua opzione per il governo è tenere la sua coalizione unita e "tentare" esponenti del Pd e battitori liberi in Parlamento. "C'è una tradizione di sinistra che guarda alla Lega...", ammicca. Il candidato premier M5S invece stasera farà festa nella sua città, Pomigliano d'Arco. Il fondatore del Movimento, Beppe Grillo, gli lascia carta bianca: "Le alleanze? Decide il capo politico". Quindi la linea resta quella di fare una proposta "a chi ci sta". Entrambi, però, devono iniziare a fare i conti con i numeri delle due Camere. Il Viminale ha finalmente fornito il riparto dei seggi. La matematica è impietosa: sia il centrodestra sia M5S, da soli, non hanno maggioranza. Le possibili maggioranze sono: Centrodestra unito più Pd; M5S più Pd; Lega più Pd. Tutti gli scenari di governo, quindi, avrebbero bisogno dei dem. Perciò Renzi, con la sua linea dell'opposizione, blocca i sogni dei suoi rivali. Il confronto interno al Pd potrà blindare questa linea o mutarla profondamente.
Di Maio: una lista di 10 punti programmatici da proporre agli altri partiti
Intanto sul tavolo di Luigi Di Maio prende corpo l'idea di una lista di circa 10 punti programmatici da proporre agli altri partiti. Secondo alcune ricostruzioni, Di Maio guarderebbe al Pd, a patto che sia senza Matteo Renzi: sono in tanti tra i 5 stelle a dire che si preferirebbe un dialogo con il centrosinistra che comprenderebbe Leu e il Partito democratico "deRenzizzato". Ma ciò che emerge con ancor più nettezza, almeno ad oggi, è l'orientamento a rifiutare un'intesa con la Lega di Matteo Salvini. La difficoltà, viene spiegato, è che un'alleanza con i leghisti rischierebbe non solo di creare una spaccatura all'interno del Movimento ma rappresenterebbe anche un serio problema rispetto all'elettorato del sud che ha scelto M5s con percentuali altissime.
Marchionne: confermo, non riconosco più Matteo
Dall'esterno del Palazzo guarda con un certo disincanto a quanto sta accadendo Segio Marchionne, ad di Fiat-Chrysler: "Confermo quanto detto altre volte, Renzi non lo riconosco più...". Giudizio netto. Quanto a M5S, chiosa: "Loro un pericolo? Abbiamo visto di peggio". Anche il mondo produttivo, insomma, si prepara ai diversi scenari che questa legislatura potrà offrire.