(Fotogramma)
La protezione umanitaria in Italia registra un forte calo negli ultimi sette mesi, con la conseguenza di un sensibile aumento degli immigrati irregolari che vivono sul territorio nazionale: circa 40mila. Perché sono quasi 45mila i soggetti che tra il giugno 2018 e il gennaio 2019 si sono visti negare l’asilo. Solo il 2% dei richiedenti ha invece ricevuto la tutela prevista dalle norme vigenti (nel 2017, con le precedenti disposizioni, erano il 25%) mentre, nello stesso periodo, i rimpatriati non hanno superato le 5mila unità. Sono i dati che emergono da uno studio dell’Ispi, l’Istituto di politica internazionale.
Si tratta, in pratica, dei primi effetti della circolare emanata in materia dal Viminale nel luglio scorso. A quel giro di vite, che ha imposto di fatto restrizioni nella concessione dei permessi alle commissioni territoriali, ha poi fatto seguito il decreto Salvini, discusso in quei mesi e convertito in legge a dicembre.
Secondo le stime dell’Ispi, inoltre, nel 2020 il numero degli irregolari, cioè i migranti senza permesso di soggiorno, in Italia potrebbe salire addirittura di 140mila unità superando in totale quota 670mila.
La cifra è, nella sostanza, il frutto della riduzione delle forme di protezione introdotte nel nuovo “decreto sicurezza”. «Si tratta di un numero più che doppio rispetto ad appena cinque anni fa – spiega Matteo Villa, ricercatore dell’istituto – quando i migranti irregolari stimati erano meno di 300mila e sarebbe anche il record di sempre se si esclude il 2002, quando in Italia si stimavano presenti 750mila irregolari».
Ai ritmi attuali, dunque, i rimpatri dei migranti irregolari nei loro Paesi di provenienza avranno un effetto molto marginale. «Per rimpatriarli tutti – dice il ricercatore dell’Ispi – sarebbero necessari 90 anni, e solo alla condizione che nel prossimo secolo non arrivi più nessun irregolare». Un’ipotesi impossibile nella realtà. Con il recente “decreto sicurezza” il governo Conte ha abolito la “protezione umanitaria” (permesso di soggiorno per motivi umanitari, della durata massima di due anni) presente nell’ordinamento italiano sin dal 1998, una tutela che veniva concessa da una commissione territoriale su base discrezionale in presenza di cause come problemi di salute o condizioni di grave povertà nel Paese (o regione) d’origine del richiedente asilo.
E tutto questo mette a rischio, per i migranti, anche i diritti fondamentali riconosciuti dalla Costituzione. L’allarme su questo versante è stato lanciato ieri dal presidente del Consiglio di Stato, Filippo Patroni Griffi, in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario. Il linguaggio usato da Patroni Griffi è tecnico ma il messaggio che passa è immediato: gli interventi legislativi che si sono succeduti in materia di immigrazione, l’ultimo dei quali è, appunto, la “legge sicurezza”, hanno condotto a «uno statuto dello straniero in più parti derogatorio rispetto all’ordinario quadro di regole e valori che disciplinano il rapporto tra il pubblico potere e i cittadini». È così che è «entrato in tensione il nucleo dei diritti fondamentali», dice il presidente del massimo organo di Giustizia amministrativa, che rivendica il merito di aver dato, alla sua attività «una dimensione concreta ai diritti fondamentali dei migranti, dalla salute all’adeguata protezione dei minori».