Segretario, certo che festeggiate: con il 3-4% diventerete probabilmente il secondo o il terzo azionista di Poste. E tutto questo con un doppio regalo: azioni gratis ai dipendenti e un rappresentante nel consiglio d’amministrazione...
Non scherziamo. Oggi comincia una storia nuova per il Paese. Non è un’operazione di potere. Al contrario, per la Cisl si realizza uno degli obiettivi fondanti – la partecipazione dei lavoratori all’impresa – e per l’Italia la concretizzazione delle intuizioni dei padri costituenti, cattolici e socialisti, che vollero promuovere, con l’articolo 46 appunto, una nuova forma di sviluppo economico. E se oggi ci arriviamo è perché finalmente ci stiamo scrollando di dosso 50 anni di incrostazioni ideologiche. In Germania la mitbestimmung (cogestione) ha prodotto risultati eccezionali e ha permesso a quel Paese di superare le crisi. Noi ora possiamo imprimere un cambiamento profondo al Paese, togliendolo dalle ragnatele dell’immobilismo e dello sterile antagonismo.
Per ora però la partecipazione è limitata a una società pubblica, nella quale tra l’altro la Cisl ha la maggioranza assoluta di lavoratori iscritti. Non si rischia una forma di consociativismo?
Al contario, la partecipazione è anzitutto un’assunzione di maggiore responsabilità. Si comincia dalla Poste perché i dipendenti hanno un forte legame con l’impresa. È anche grazie a questo che già da tempo le Poste si sono trasformate da 'palla al piede' dell’Italia a servizio pubblico, capace però anche di essere motore di sviluppo, generatore di valore e presenza positiva nel mercato finanziario e assicurativo. Non è un caso che sia un cattolico come Enrico Letta a mettere a tema la partecipazione, un pilastro della Dottrina sociale della Chiesa. Attraverso i poteri di indirizzo e controllo e la partecipazione agli utili, i lavoratori avvertono da una parte stimolato, apprezzato e valorizzato il loro apporto lavorativo. Dall’altra, si sentono responsabilizzati a far sempre meglio, ad accrescere la loro produttività ed efficienza. Si esalta la bellezza della propria opera, il bene di ciascuno diventa il bene di tutti.
Che cos’altro dovrebbe fare adesso il governo?
Tagliare le imposte sul lavoro. Ripristinando nella versione originale il fondo per l’abbattimento delle imposte. Senza le zeppe messe all’ultimo minuto dal Ministero dell’economia e quindi riservando ogni euro risparmiato, ogni euro di spesa pubblica in meno, alla riduzione delle tasse per lavoratori e imprese. Così si rilancia lo sviluppo.
Intanto però il governo ha varato anche il decreto sul rientro dei capitali. Mossa obbligata o ennesimo condono negativo?
Tutto quello che può riportare in Italia capitali da investire, e sui quali cominciare a far pagare le tasse, per noi è positivo.
Con il Jobs Act, Renzi sembra deciso a riformare anche il lavoro (pur non avendo scoperto le carte). I sindacati però sembrano tagliati fuori...
Ho salutato con favore il jobs Act. ora spero che si entri nel dettaglio. L’importante è che la politica si occupi di come stimolare gli investimenti e agire perché il Paese sia competitivo nelle infrastrutture, nel costo dell’energia, nell’esercizio della giustizia, ecc. Meglio che lasci perdere invece la regolazione del mercato del lavoro o, peggio, della rappresentanza, dove le parti sociali sono meglio in grado di far da sole, senza invasioni di campo e interventi legislativi impropri.
A proposito di crisi industriali, il caso Electrolux può aprire una diversa stagione di relazioni sindacali o l’intervento degli industriali è solo una forzatura?
Vanno fatti tutti i tentativi per non perdere capacità produttiva e lavoro. Bene dunque l’iniziativa degli industriali, siamo pronti a confrontarci per trovare lo scambio migliore. Ricordo che con la Fiat abbiamo dimostrato come, agendo su orari e organizzazione, si possono mantenere le produzioni in Italia, salvando i posti di lavoro. E senza tagliare i salari, anzi facendoli aumentare.