Bambini allontanati dalle famiglie. Una ferita che spesso segna in profondità i piccoli e i loro genitori. Quando poi si è in presenza di casi complessi e controversi, che richiedono talvolta – come insegna la cronaca recente – l’intervento della forza pubblica, alla sofferenza si somma il senso di ingiustizia e di frustrazione. Eppure gli esperti sono concordi: l’allontanamento di un bambino dalla famiglia è sempre una sconfitta. Per la famiglia, certo, ma anche per la società e per le istituzioni che non hanno saputo mettere in atto gli interventi necessari per evitare la separazione e, prima ancora, l’insorgere del problema. Lo spiega bene lo studio della Fondazione Zancan di Padova, commissionato dal ministero delle Politiche sociali, la cui tesi è tanto semplice quanto importante: ci sono motivazioni cliniche, professionali, etiche ed economiche per evitare l’allontanamento di un minore dalla famiglia. Lo studio della Fondazione Zancan ha coinvolto 6 regioni e 16 gruppi di lavoro: uno in Abruzzo, due in Basilicata, due in Emilia-Romagna, uno in Piemonte, sei in Toscana, quattro in Veneto. La sperimentazione prevedeva una prima fase di valutazione delle condizioni del minore (114 quelli pesi in esame), perlopiù proveniente da una famiglia multiproblematica ad alto rischio di cronicizzazione. La valutazione multidimensionale ha messo in evidenza – nei 107 bambini su è stata applicata – più di una criticità: risultano compromesse la capacità di progettare ed eseguire compiti, l’alimentazione, le abilità nel calcolo, nella lettura e nella scrittura. Com’era prevedibile, l’area “socioambientale relazionale” è risultata la più preoccupante, essendo le condizioni affettive e relazionali dei bambini e dei ragazzi sempre fortemente compromesse. Le difficoltà più gravi si riscontrano nei rapporti affettivi primari con i genitori e nelle relazioni amicali: c’è una forte carenza di persone “adulte”, disposte ad assumersi responsabilità di fronte ai bisogni fondamentali dei figli. In almeno tre quarti dei casi, tocca quindi ai professionisti – agli assistenti sociali, agli educatori, a neuropsichiatri, psicologi, pediatri… – integrare le funzioni genitoriali. Complessivamente il quadro che emerge è di bambini in condizioni di grave deprivazione, con genitori poco capaci di esserlo, in famiglie prive di sostegno, spesso sotto osservazione da parte dei servizi sociali, sanitari ed educativi.In questo contesto di grande criticità si inserisce la sperimentazione che ha previsto, dopo la fase di valutazione, la redazione di un piano operativo personalizzato (per 95 bambini, ovvero l’83%). Nel piano sono stati definiti obiettivi, risultati attesi e strategie di azione. Al suo interno sono stati individuati 533 fattori osservabili di esito, cioè quei cambiamenti misurabili che, anche se piccoli, evidenziano se il cammino va nella giusta direzione. Dopo circa tre mesi i bambini sono stati rivalutati ed è stato redatto un secondo piano. I risultati parlano chiaro: i punteggi medi migliorano in ogni area osservata, soprattutto nell’area socioambientale e relazionale, quella più critica e che poteva determinare l’allontanamento. Il 58% dei bambini registra un cambiamento in positivo delle proprie capacità relazionali. Il punteggio aumenta in media dell’8,5%. I cambiamenti maggiori si registrano nelle sub-aree “autonomie”, “apprendimento” e “capacità cognitive”. «Sono esiti che consentono di pensare a obiettivi più ambiziosi – precisa Cinzia Canali, ricercatrice della Fondazione Zancan – per affrontare i problemi relativi alle responsabilità genitoriali. Per questo serve un lavoro professionale strutturato con madri e padri».
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