giovedì 25 febbraio 2021
Il “cortocircuito” evidenziato dal report di Cnca: così le famiglie in difficoltà finiscono nella rete dell’indebitamento. Che spesso è controllata dalle stesse banche che negano loro il credito
Le file dei nuovi poveri, fuori dal 'Pane Quotidiano' a Milano

Le file dei nuovi poveri, fuori dal 'Pane Quotidiano' a Milano - Ansa

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L’emergenza Covid 19, che ha fatto aumentare disoccupazione e tassi di povertà tra larghe fasce della popolazione italiana, ha innescato un “cortocircuito”: la perdita del lavoro e l’instabilità economica, unite alla difficoltà di accesso al credito, spingono molte persone «a ricorrere ad altri canali di indebitamento, alcuni dei quali controllati dagli stessi istituti di credito, pronti ad approfittare della vulnerabilità di soggetti fragili».

È la denuncia contenuta nel rapporto intitolato proprio 'Cortocircuito. Come la spirale del debito impoverisce il tessuto sociale' curato dal Comitato nazionale comunità di accoglienza (Cnca) e presentato ieri. «Questo documento ci aiuta a leggere meglio e ad analizzare alcuni dei processi profondi che stanno alla base di molti dei problemi che incontriamo ogni giorno nel nostro lavoro accanto alle persone più vulnerabili che vivono situazioni di povertà assoluta e mancanza di lavoro di lunga durata, dipendenza da gioco o da sostanze – riflette Riccardo De Facci, presidente del Cnca –. Sempre più spesso riscontriamo, connesse a queste problematiche, situazioni di indebitamento importanti, con ricorso all’usura e utilizzo massiccio dei Banchi dei pegni o, finché è possibile, con vendite di oro o preziosi, attingendo agli ultimi piccoli possessi familiari».

Secondo i dati Istat, nel 2019 erano quasi 1,7 milioni le famiglie che vivevano in condizioni di povertà assoluta (4,6 milioni di persone). E i dati dell’ultimo rapporto Caritas fotografano un drammatico peggioramento di questa situazione: i nuovi poveri che nel 2020 si sono presentati per la prima volta ai centri di ascolto sono passati dal 31% al 45%. «Tra le cause che hanno concorso al tracollo di una parte del tessuto sociale e produttivo – denuncia il report del Cnca – va incluso anche il comportamento del sistema bancario e creditizio che non si è rivelato prodigo nel concedere liquidità né ai giovani né alle imprese, soprattutto a quelle di piccole dimensioni».

A fronte di questa situazione, per arrivare a fine mese, una possibile opzione a cui possono ricorrere le famiglie sono i Banchi dei pegni, cui si rivolgono mediamente tra le 270 e le 300mila persone ogni anno, con un volume d’affari di circa 800milioni di euro. Il prestito medio è di circa mille euro, soldi che servono soprattutto per spese impreviste e che nel 95% dei casi vengono restituiti. Il dossier sottolinea come, paradossalmente, questi istituti siano di proprietà di una quarantina di banche tra cui Unicredit, Monte dei Paschi di Siena, Intesa San Paolo, Carige e Bpm. L’altra alternativa per chi possiede beni preziosi è la vendita diretta ai “compro oro”, il cui numero è passato dai 24.877 del 2018 a 29.511 del 2019.

«Stiamo parlando di strumenti legali e che, in alcuni casi, possono dare una risposta temporanea a una situazione di bisogno. Ma non possiamo lasciare in mano esclusivamente a questi soggetti le risposte a una crisi profonda e drammatica e che noi, come Cnca, incontriamo tutti i giorni nei territori in cui operiamo – sottolinea De Facci –. Oggi più che mai dobbiamo interrogarci su come farci carico di questa esclusione sociale ed evitare che aumenti la spirale di indebitamento ». La risposta, secondo il presidente del Cnca, è quella di dare vita a forme di microcredito che sostengano i più fragili e permettano loro di non affidarsi «a soggetti che in questo momento puzzano più di interesse che di supporto – sottolinea De Facci –. Dobbiamo farci carico di questa situazione coinvolgendo il mondo bancario e quello delle fondazioni. Anche sul tema della finanza dobbiamo costruire sistemi che permettano di accompagnare le persone più fragili in questo momento di grande difficoltà».

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