Stella Kyriakides, commissaria europea per la Salute - Ansa/Epa
Ormai tra la Commissione Europea e AstraZeneca è scontro aperto. Bruxelles è furibonda per le parole esplosive dell’amministratore delegato Pascal Soriot in un’intervista a un gruppo di giornali secondo cui nel contratto «non c’è alcun obbligo verso l’Ue. Nel nostro contratto c’è scritto chiaramente: “best effort”, ossia faremo del nostro meglio». E allo stesso tempo viene duramente contestata la precedenza della Gran Bretagna sull’Ue, accampata da Soriot perché Londra ha firmato il contratto tre mesi prima.
Aria di tempesta confermata anche dal balletto sulla partecipazione o meno di un rappresentante della casa farmaceutica a una nuova riunione con la Commissione e gli Stati membri prevista per ieri sera. In mattinata fonti Ue facevano sapere che la società aveva annullato la partecipazione, finché la stessa AstraZeneca ha detto che sarebbe stata presente, con la vice presidente esecutiva Iskra Reic.
La rabbia è condivisa ovviamente dagli Stati membri, che proprio su AstraZeneca avevano puntato per accelerare le vaccinazioni. A questo punto la Commissione punta a rendere pubblico il contratto con la società, tenuto riservato per sua richiesta, soprattutto dopo che Soriot ha rivelato alcuni dettagli, ma AstraZeneca dovrà accettare.
«La versione – tuona la commissaria alla Salute Stella Kyriakides – secondo la quale l’azienda non è obbligata a consegnare le dosi perché abbiamo firmato un accordo per il massimo sforzo possibile, non è né corretta né accettabile. Abbiamo firmato un contratto di pre-acquisto per far sì che venisse messo a punto un prodotto che all’epoca non esisteva e che, a oggi, deve ancora essere autorizzato. E l’abbiamo firmato precisamente per assicurarci che la società potesse garantire una capacità di produzione per arrivare a determinati volumi il giorno che verrà autorizzato» (il via libera Ema dovrebbe arrivare domani).
La Commissione ricorda i 336 milioni di euro stanziati per AstraZeneca, per finanziare il rischio d’impresa, «abbiamo anticipato – sottolinea la cipriota – un investimento per ottenere un impegno vincolante della compagnia a produrre in anticipo, prima di ottenere l’autorizzazione. Non essere in grado di assicurare la necessaria capacità produttiva è contrario alla lettera e allo spirito del nostro accordo».
Non basta: l’idea che venga prima il Regno Unito per Bruxelles è fuori dal mondo. «Mica siamo dal macellaio, servo chi viene prima», sbotta la commissaria. La società insiste che «ogni catena di approvvigionamento è dedicata a specifici Paesi», ma l’Ue smentisce: nel contratto, dice Kyriakides, «non ci sono clausole di priorità, né c’è una gerarchia dei quattro stabilimenti elencati nell’accordo. Due sono nell’Ue (Belgio e Germania ndr) e due sono nel Regno Unito».
Anche alti funzionari della Commissione spiegano che il contratto «afferma con chiarezza che le dosi che abbiamo comprato possono essere prodotte in quattro impianti. In nessuna parte del contratto è scritto che le dosi prodotte in Gran Bretagna debbano essere in esclusiva per la Gran Bretagna». Tradotto: AstraZeneca deve usare, e subito, anche gli stabilimenti britannici per rifornire l’Ue. «Io posso solo dire che noi siamo molto sicuri delle nostre forniture e dei nostri contratti», ha commentato, sornione, il premier britannico Boris Johnson.
È ormai palese che la Commissione considera AstraZeneca altamente scorretta. Gli alti funzionari lamentano che «la società non ha dato chiare spiegazioni per un taglio così massiccio delle forniture (-60% per il primo trimestre, ndr), hanno solo alluso a problemi di resa in un impianto belga (la Commissione ha già in programma un’ispezione ndr). Ma questo non può essere la spiegazione, ce ne sono altri tre a disposizione».
Peggio, «ci hanno dato indicazioni sulle loro forniture solo per febbraio e marzo, sul dopo è buio profondo». Il sospetto ormai sempre più forte è che AstraZeneca stia vendendo fuori Ue a Paesi che pagano meglio, dal Sudafrica a Israele. «I dati doganali – dicono ancora gli alti funzionari – anche se non specificano i produttori, parlano chiaro: si vede un forte flusso di vaccini verso Paesi terzi».
«Le case farmaceutiche - conclude Kyriakides - hanno obblighi morali, sociali e contrattuali, che devono rispettare». AstraZeneca a quanto pare è di altra opinione.