giovedì 18 gennaio 2024
La denuncia di Rete pace e disarmo: «Approvate in commissione Difesa modifiche pericolose alla legge sull'export bellico: meno trasparenza e cancellazione della lista delle "banche armate"»
undefined

undefined - undefined

COMMENTA E CONDIVIDI

Un favore ai produttori nazionali di sistemi di armi? È quello che sostiene l'associazionismo pacifista e disarmista che sta vigilando sulla riforma della legge 185, il cui iter è in corso a Palazzo Madama. La normativa del 1990 arrivò grazie alla mobilitazione della società civile e degli istituti missionari, per porre un controllo agli affari del comparto bellico italiano, che foraggiava guerre nei paesi africani e non solo. Ora, dopo anni di pressing del settore industriale bellico per allargare le maglie della normativa, la riforma è avviata. E martedì la commissione Affari esteri e Difesa del Senato ha approvato tre emendamenti che - secondo le associazioni - inficiano gravemente la trasparenza della Relazione annuale al Parlamento sulle esportazioni dall’Italia di materiali militari. Innnestandosi peraltro su un testo che presenta già aspetti problematici, perché modifica i meccanismi di rilascio delle autorizzazioni: il cuore delle decisioni - afferma Rete pace disarmo - viene sostanzialmente affidato all’ambito politico, senza un adeguato passaggio tecnico per garantire il rispetto sia dei criteri della legge italiana che delle norme internazionali sulla materia: cioè la Posizione comune europea sul commercio delle armi del 2008 e l'ATT (Arms Trade Treaty), il Trattato sul commercio delle armi adottato dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite nel 2013.

Se le modifiche votate in questa prima fase di dibattito parlamentare verranno confermate dall'aula e poi alla Camera, sia i parlamentari che la società civile e l'opinione pubblica non potranno più avere informazioni precise e dettagliate – oggi presenti nella Relazione ufficiale – sulle esportazioni di armi autorizzate. «Particolarmente negativo – commenta Giorgio Beretta dell’Osservatorio OPAL – è l’emendamento della relatrice (la presidente della commissione Esteri, senatrice Stefania Craxi di Fi, ndr) volto ad eliminare ogni informazione riguardo agli Istituti di credito operativi nel settore dell’import/export di armamenti. I correntisti non sapranno più dalla Relazione quali sono le banche, nazionali ed estere, che traggono profitti dal commercio di armi verso l’estero, in particolare verso Paesi autoritari o coinvolti in conflitti armati».

Le modifiche approvate confermano insomma il timore già espresso da Rete pace disarmo: «La modifica della Legge 185/90 promossa da governo e maggioranza ha come principale obiettivo un’applicazione meno rigorosa dei principi e dei criteri della legge. Altamente criticabile anche il profilo del metodo: la formulazione definitiva poi approvata dei tre emendamenti è stata presentata all’attenzione dei Senatori solo al momento della seduta. Senza possibilità di un dibattito compiuto, privando la società civile delle conoscenza reale di quanto si stava discutendo».

Bocciati quasi tutti gli emendamenti delle minoranze, ma anche alcuni importanti emendamenti proposti dalla stessa relatrice, che andavano nella direzione di un miglioramento di controlli, meccanismi decisionali e trasparenza sull’export. «Nonostante le nostre ripetute e circostanziate richieste - dichiara Francesco Vignarca, coordinatore campagne della Rete Italiana Pace Disarmo - non si fa nemmeno riferimento ai criteri del Trattato internazionale sul commercio di armi, che l’Italia ha ratificato con voto unanime del Parlamento nel 2013. Assenza grave, che sicuramente contesteremo impugnando il testo di Legge, se questa formulazione verrà confermata fino alla fine».

Che bisogno c'era di rivedere la legge 185 del 1990? «Il Governo intende favorire e concretizzare una richiesta di revisione delle norme in vigore - sostiene Francesco Vignarca - ripetutamente richiesta negli ultimi anni dall’industria militare in un’ottica di facilitazione delle esportazioni di armamenti a favore della "competitività dell’industria militare". Una funzione sempre enfatizzata, erroneamente, come “strategica” per il “rilancio” dell’economia nazionale. In realtà sarebbe un puro e semplice “regalo” agli interessi armati, in direzione contraria ai principi delle norme nazionali ed internazionali».

Sistemi d’arma italiani sono stati e sono tuttora inviati in decine di situazioni di conflitto, di violazione diritti umani, di presenza di regimi autoritari come invece sarebbe e espressamente vietato dalle norme in vigore. Come le bombe e i missili prodotti in Sardegna dalla RWM. per anni vendute all'Arabia saudita durante la guerra in Yemen, fino al blocco del governo Conte due. E aerei da addestramento sono stati venduti a Israele: una trentina di M-346 della Alenia Aermacchi dell’allora Finmeccanica, oggi Leonardo. Il ministro della Difesa, Guido Crosetto, il 15 novembre scorso dichiarò che le «vendite armi ad Israele» erano state «sospese dopo il 7 ottobre», data dell'attacco di Hamas. Si trattava di 21 licenze da quasi 10 milioni di euro soprattutto di sistemi di comunicazione militare. Ma l’Unità per le autorizzazioni dei materiali di armamento presso il ministero degli Esteri ha opposto nei giorni scorsi un diniego totale alla richiesta di trasparenza avanzata, tramite due accessi civici, dalla testata Altreconomia, sia sul rilascio di nuove autorizzazioni all’esportazione, sia per le esportazioni definitive di materiale d’armamento da Roma a Tel Aviv.

Tutti segnali della volontà politica di far calare sulle esportazioni di armi dall'Italia una fitta cortina di opacità. E le associazioni - come eredi della campagna che portò alla legge 185 - si preparano alla mobilitazione: «Non permetteremo che i profitti di sistemi d’arma che alimentano guerre e militarizzazione vengano considerati più importanti del rispetto dei diritti umani, della vita delle popolazioni e degli sforzi di costruzione della Pace».

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: