Sottili come i capelli di suo padre. Emilia Mingrino se le immagina così le fibre d’amianto che gliel’hanno portato via nel ’99. Volavano invisibili e micidiali nel cielo di Broni (Pavia) nei giorni in cui la Cementifera Fibronit lavorava a tutto vapore. Abitare sottovento poteva significare la condanna a morte, proprio come lavorare senza protezioni in mezzo alla polvere assassina. Il verdetto, ma lo si sa solo oggi, sarebbe stato pronunciato venti, trent’anni dopo, in quanto i tempi di incubazione di un tumore causato dall’esposizione all’amianto sono lunghissimi. «Papà tornava “borotalcato” dalla fabbrica, ricoperto di polvere d’amianto. La mamma lavava e rilavava la tuta da lavoro e io cercavo di liberargliene i capelli, sempre più sottili, sempre più sfibrati e disidratati»: la signora Mingrino ha acconciato generazioni di bronesi nel suo salone che dà sulla via Emilia, costruita dai romani quando la “grande fabbrica” non esisteva ancora ma l’Oltrepo custodiva già i segreti del Pinot nero. Per la “città della vite e del vino” quello agli ex dirigenti Fibronit che si apre lunedì a Voghera è il processo del secolo perché tutte le famiglie hanno una vittima o potrebbero avercela. «Non ne parlo mai con le clienti – ammette però l’Emilia – qui ciascuno si tiene il proprio dolore». I malati di mesotelioma pleurico muoiono soffocati tra atroci sofferenze, ma non aspettatevi grandi discorsi a Broni; non siamo ancora nel frizzante piacentino, questa è la brumosa Lombardia, e per di più tradita dal sogno industriale. Sono oltre 800 le vittime accertate dalla procura: ex operai bronesi, mogli di Stradella, figli di Portalbera, chi lavorava alla Cementifera, chi ha respirato le fibre killer per sessant’anni, tanto è rimasta aperta la “grande fabbrica”. Si parla di tremila morti sospette, tante quante i posti di lavoro Fibronit. Già, perché non è un segreto che durante la ricostruzione e il miracolo economico, ma anche fino agli anni ’80 c’era chi pagava per aggiudicarsi uno di quei posti di lavoro. Stipendio e pensione, il sogno proibito dell’Italia di ieri come di oggi. E pazienza se ci si spaccava la schiena per spostare sacchi di amianto a mani nude; pazienza se l’asbestosi - nella migliore delle ipotesi - ti avrebbe tolto il respiro; pazienza se nessuno ti spiegava che diecimila lire non erano il prezzo di una vita «e invece si sceglieva l’aumento in busta, rinunciando alla mascherina», come attesta l’Emilia. Pazienza, infine, se i sindacati tacevano. E pazienza se per l’Usl era tutto regolare.Otto anni d’indagini, dieci ex dirigenti alla sbarra, una scia di morti che arriverà, dicono, al 2020: si giunge così al secondo grande processo contro l’amianto dopo l’Eternit. L’udienza preliminare, a porte chiuse, nella piscina coperta di Voghera, potrebbe non bastare nemmeno per la costituzione di parte civile di tutte le persone offese. Si contano già 200 parti civili ma potrebbero aumentare ulteriormente, malgrado pene e risarcimenti si annuncino anch’essi sottili. La Fibronit è fallita e la proprietà si è estinta, non c’è uno Schmidheiny da processare, questa volta non c’è un magnate “filantropo” che si offra di comprare a suon di milioni il perdono delle famiglie e l’oblio di tutti gli altri. Le accuse di disastro ambientale doloso, omissione dolosa di cautele antinfortunistiche e omicidio colposo colpiscono manager in pensione da anni, anonimi e anziani, che vorrebbero essere dimenticati e invece si trovano additati come gli untori del “triangolo della morte”, coloro che hanno permesso che i veleni contaminassero operai e città. L’esposizione all’amianto è una cambiale a scadenza non solo per i lavoratori ma per chiunque abitasse tra Broni, Stradella e Portalbera prima del ’94, quando la Fibronit chiuse i battenti. Questione di vento e di fortuna, pare anche di predisposizione genetica, ma i medici non hanno dubbi sul nesso di causalità: «Qui si concentra più di un terzo dei casi di mesotelioma pleurico della provincia di Pavia e più della metà degli esiti infausti» conferma Giovanni Belloni, primario di medicina interna a Stradella. Il processo dovrebbe chiarire anche se la lunga strage poteva essere evitata. Silvio Mingrino, fratello di Emilia e presidente dell’Avani, una delle associazioni dei familiari delle vittime, chiede: «Perchè i sindacati che imposero la chiusura della Eternit a Casale hanno taciuto a Broni? Perché il Comune e l’Usl che dovevano controllare hanno attestato che era tutto regolare?». Anche per l’Associazione italiana esposti amianto «il sindacato sulla Fibronit si è defilato e l’intervento delle istituzioni è stato tardivo» come afferma Costanza Pace, per la quale «le famiglie delle vittime chiedono giustizia, ci siamo costituiti parte civile perché questo strazio abbia fine». Lo strazio dei Mingrino - dopo papà Armando, anche mamma Carmela è deceduta per «il male della cementifera», colpa delle troppe tute lavate... - e delle migliaia di bronesi che affolleranno il processo: «Dopo tanto dolore, la richiesta di giustizia delle famiglie ha soprattutto un profilo etico e morale» spiega uno dei legali di parte civile, Luca Angeleri. Non si punta a provvisionali record ma ad una sentenza-fotocopia dell’Eternit. A Torino, Stephan Schmidheiny e Louis de Cartier, proprietari della multinazionale dell’amianto, furono condannati a 16 anni; a Voghera la difesa chiederà il rito abbreviato, condizionandolo ad alcune perizie che potrebbero ridimensionare le responsabilità degli imputati: in caso di condanna, dai tre ai cinque anni. Se poi risultassero nullatenenti, addio risarcimenti alle parti civili. «Capisco l’attenzione mediatica, ma un processo deve definire la responsabilità personale – precisa l’avvocato Pietro Folchi Pistolesi – e taluni imputati non avevano deleghe in materia di sicurezza dei lavoratori e dell’ambiente...». La difesa chiederà anche di «chiarire il rapporto tra il periodo di lavoro in Fibronit, l’insorgere della malattia e la responsabilità eventuale dell’ex manager sotto accusa». Insomma, comunque vada, i tempi saranno lunghi. E poi, non è solo l’Avani a chiedere conto del comportamento delle istituzioni: «Se non sono mai state rilevate irregolarità alla Fibronit, come è possibile far ricadere il disastro sui dirigenti?», domanda infatti Graziano Lissandrin, che assiste l’ex amministratore delegato della Fibronit, già condannato per la morte di alcuni dipendenti dello stabilimento di Bari.