Almeno il fronte governativo ora gioca la partita a carte scoperte. Alfano, Monti e Mauro, attraverso una nota dei gruppi parlamentari di Ncd, Scelta civica e Per l’Italia, minacciano apertamente una «crisi al buio» nel caso in cui Renzi si accordi con Berlusconi sulla legge elettorale "spagnola". E l’ala cuperliana-bersaniana-lettiana del Pd dice chiaro e tondo che riscrivere le regole del voto fuori dal perimetro della maggioranza significa precipitare il Paese nel caos. Insomma: se il segretario del Pd tira dritto per la sua strada, le conseguenze sono una folle corsa al voto con il sistema proporzionale o (paradossale per il Matteo "anti-inciucio") un governo Renzi-Berlusconi senza passare dalle urne.Le minacce sono la premessa per rilanciare le trattative. Dopo il tumultuoso colloquio di giovedì notte tra Letta e Renzi (cui erano presenti anche Alfano e Franceschini), il premier riallaccia i rapporti con i segretari inviando nella sede Pd, di fronte al segretario e a Delrio, sia il ministro per i Rapporti con il Parlamento sia il titolare dello Sviluppo Maurizio Lupi. Sotto il braccio, i due hanno - o pensano di avere - l’uovo di colombo, un quarto modello di legge elettorale. Una sorta di spagnolo rivisitato, alleggerito e reso digeribile sia per Alfano che per Berlusconi: turno unico, soglia di sbarramento al 5%, premio di maggioranza per chi raggiunge almeno il 30-35%, liste corte, forse una quota di seggi ripartita su base nazionale. Ci lavora il politologo Roberto D’Alimonte.Perché Renzi accetti la mediazione della maggioranza (e non è scontato), Alfano ha deciso di alzare i toni. Non solo con la nota congiunta con montiani e popolari. Ma anche salendo al Colle denunciando l’«incostituzionalità» dello spagnolo puro e del Mattarellum corretto. Una questione posta anche da Quagliariello durante il Cdm del mattino, insieme alla richiesta di calendarizzare subito i suoi ddl su riforma del Senato, abolizione del Cnel e riforma del titolo V con un collegato sulle società partecipate.Il premier segue a distanza e si sgancia dalla bagarre romana per volare a Parma da Pier Luigi Bersani. La visita di Letta all’ex segretario - in netta ripresa rispetto ai giorni della paura - ha anche significati politici che si sommano agli aspetti più intimi e privati. I due infatti si appartano a parlare per mezz’ora proprio mentre fuori dall’ospedale piovono le dichiarazioni dei bersaniani che sbarrano la strada al neosegretario Pd. Segno che l’ala governista del partito tiene.Tornato a Roma, Letta si rimette a lavorare al Patto 2014. «Sono fiducioso, la settimana prossima chiudiamo su tutto», dice ai suoi. «Su tutto» vuol dire che probabilmente nello stesso giorno, in una coincidenza temporale cercata e significativa, sarà firmato il programma di governo e depositato in Aula il testo di legge elettorale che raccoglie la più ampia convergenza parlamentare. Dopo seguirebbe il voto di fiducia alle Camere e il rimpasto della squadra di governo.Il presidente del Consiglio definisce la sua la «fiducia della ragione». «La solidità politica e numerica risiede nella maggioranza, fuori dalla maggioranza non c’è intesa politica e nemmeno certezza numerica», è il sillogismo che ama ripetere il premier in queste ore. Poi, con i suoi, snocciola numeri che servono a far capire quanto abbia presente la diaspora interna al Pd: «Al Senato i nostri sono 108, non pochi diranno "no" allo spagnolo». E allora si rilancia: "Dalimontum" entro aprile, insieme alla prima lettura della riforma del Senato. Renzi risulterebbe vincitore, perché in poche settimane avrebbe incassato la nuova legge, piegato Alfano sui tempi e coinvolto pezzi di opposizione. Letta gli lascerebbe il trionfo, consapevole che la vera vittoria è preservare la stabilità.