sabato 22 giugno 2024
Pienone al teatro Quirino per l'evento promosso dal comitato presieduto da Zecchino, con Della Loggia, Giovagnoli, Melloni, Schiavone e Bonini. Paolo Mieli: «Perché accade solo da noi?»
Dc senza eredi 80 anni dopo: storici a consulto sull'«anomalia italiana»
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L’ interrogativo che aleggiava nell’aria, l’altra sera, in un gremitissimo teatro Quirino, lo ha posto in premessa Paolo Mieli: come mai proprio nell’Italia che ha scritto la storia di questo filone politico, manca da 30 anni un vero erede di quella tradizione, ancora preminente in Germania come in Europa? Non basta evocare la caduta del Muro o Mani pulite che pure un discreto strattone lo hanno dato, ma hanno trovato fondamenta poco solide, evidentemente, non in grado di reggere a quel terremoto.

A guardare il parterre delle prime file c’è la plastica dimostrazione che la risposta univoca non può venire dai politici. C’è Pierluigi Castagnetti, primo segretario del Popolari alleati della sinistra, c’è Pier Ferdinando Casini, ex leader dell’Udc ossia del centro post-democristiano che ha provato a un’alleanza col centrodestra berlusconiano, e c’è Gianni Letta, protagonista dell’avventura di Forza Italia, nelle aule parlamentari l’ultimo canale di ingresso rimasto al Partito popolare europeo, e forse anche per questo premiata dalle urne, ma rimasta pur sempre sotto la soglia psicologica della doppia cifra. E c’è l’ex ministro Enzo Scotti, avvicinatosi, nel momento del massimo fulgore, al tentativo dei 5Stelle. Mieli dà atto anche all’unico erede del Pci presente in sala, l’ex tesoriere dei Ds, Ugo Sposetti. Quanto al centro-centro sganciato dai poli, a voler glissare sull’ultimo tentativo a vuoto scaturito dalla lite Renzi-Calenda, l’organizzatore della serata - l’ex ministro dell’Università Ortensio Zecchino, presidente del Comitato per le celebrazioni dell’80esimo anniversario della nascita della Dc - lo si può ricordare come intestatario (insieme a Giulio Andreotti e Sergio D’Antoni) dell’ultimo tentativo, fallito a suo volta, di rimettere in piedi un centro di matrice democristiana, ossia Democrazia europea. Allora, se non può venire dalla politica una lettura univoca e imparziale, Zecchino, da storico medievalista, si affida agli storici. Ricorda in premessa che se la data di nascita è incerta (si suole far riferimento a una prima riunione a Roma delle province liberate, nel luglio del 1944, ma c’è notizia anche di un incontro clandestino promosso da De Gasperi a Milano, nel 1942) è certa la data della fine, il 18 gennaio 1994, che intendeva evocare l’appello ai “liberi e forti” che era stato lanciato, in quella stessa data, nel 1919, da don Luigi Sturzo. Ma il “travaso” dalla Dc al Pa partito popolare non sortì gli effetti sperati in termini di unità di intenti. Parola allora agli agli storici. Il tema è “Anima e corpo della Democrazia cristiana. Storia di un Paese“. Il simbolino dice tanto: un De Gasperi pensoso che guarda da dietro a una finestra, che evoca con un po’ di fantasia il vecchio e glorioso “scudocrociato”. Zecchino scalda i cuori, rivendicando che si è trattato di una storia di grandi leader e grandi riforme e soprattutto una storia «di popolo», non di affari di pochi. Perché è finita, allora? Per via via di una debolezza a lungo alimentata, «per l’exploit del marxismo» ereditato dalla Contestazione e una lunga «egemonia culturale» lasciata alla sinistra, sostiene Ernesto Galli Della Loggia, che parte nella sua ricostruzione dalla dicotomia iniziale fra Dossetti e De Gasperi. Alla Dc, rimarca Agostino Giovagnoli, andrebbe riconosciuto il merito di essere stato «partito della nazione» e nel contempo «partito della democrazia», grazie al rapporto fra «tradizione degasperiana e dossettiana», che descrive invece come una felice convergenza politica che ha fatto bene al Paese dando risposte in chiave di bene comune con la ricetta «interclassista» mutuata dalla dottrina sociale. Una storia lunga e complessa. Segnata da un clamoroso successo iniziale, ricorda Alberto Melloni, quello delle elezioni dell’aprile 1948, foriero però di lacerazioni e letture diverse. Quella di don Milani, che avrebbe voluto maggiore considerazione per le istanze sociali e quella opposta del cardinale Siri che, risentito, sbottò: «Hanno vinto grazie a noi e ora vorrebbero fare di testa propria». Vede, guardando ad anni più recenti, una «mancanza di fantasia» delle due forze egemoni di allora, Dc e Pci, Aldo Schiavone: colpe legate a una «visione strumentale della democrazia che stiamo scontando ad una ad una». Una storia che ognuno, oggi vorrebbe piegare ad andare di qua o di là. Mentre De Gasperi, in un celebre discorso a Predazzo, come ricorda Francesco Bonini, lo definì «un partito di conservatori e innovatori al tempo stesso».


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