L'arrivo in Italia di rifugiati con i corridoi umanitari - .
Hamed si è presentato con il curriculum al colloquio a Islamabad, in Pakistan, per entrare nel programma dei corridoi umanitari della Cei. In genere si comincia raccontando la propria storia di perseguitato. «Ma prima di essere un rifugiato – ha spiegato agli operatori della Caritas italiana – sono una persona che ha studiato e lavorato. Nel mio Paese questo non era più possibile, ma voglio tornare a farlo in Italia».
Hamed è afghano di Herat, città dalla quale è scappato con la moglie, rifugiandosi nella capitale Kabul quando sono arrivati i talebani. Motivo? Oltre ad essere laureato in ingegneria, ha frequentato un master a Edinburgo, in Scozia, e parla un inglese fluente. Una colpa. La sua odissea è proseguita in Pakistan, dove è fuggito quando i talebani hanno preso Kabul nell’agosto del 2021. Grazie a lui e alle storie di tanti altri rifugiati vulnerabili, ma con talenti alle spalle è scattata la scintilla per dar vita a un progetto sperimentale unico a livello europeo, i corridoi lavorativi. Che sono ufficialmente partiti oggi con l‘arrivo all’aeroporto di Fiumicino su un volo di linea dal Pakistan di un primo gruppo di 12 rifugiati afghani. Saranno ospitati dalle Caritas di Firenze e di Milano.
Si tratta di ingegneri civili, designer, dentisti e altri professionisti, ai quali si aggiungeranno a giugno un secondo gruppo di sei beneficiari.
Promossi e realizzati dalla Cei, attraverso Caritas Italiana, nell’ambito del progetto Eu-Passworld co-finanziato dal fondo Amif, prendono spunto dalle esperienze dei corridoi umanitari, finanziati con l’otto per mille, che hanno visto arrivare in Italia per vie legali e sicure negli ultimi anni oltre seimila persone vulnerabili.
La sfida è portare accanto all’accoglienza sperimentata in questi anni in molte diocesi italiane, una maggiore probabilità di inclusione trovando lavoro, dopo aver formato rifugiati, l’azienda e la comunità che accoglie già prima della partenza.
«L’obiettivo è trasferire in Italia un certo numero di beneficiari individuati in Paesi terzi sulla base dei criteri previsti dai protocolli nazionali siglati con il governo italiano a cui si aggiunge la verifica di competenze professionali per inserirli in aziende italiane», spiega Oliviero Forti, responsabile politiche migratorie e protezione internazionale di Caritas Italiana.
L’iniziativa si basa su una innovativa collaborazione tra Caritas Italiana – che si occupa dell’individuazione dei profughi nell’ambito dei protocolli dei corridoi umanitari, del loro trasferimento in Italia e dell’accoglienza materiale attraverso la rete delle Caritas diocesane – e Consorzio Communitas, che garantisce i contatti con le aziende, il tutoraggio, la formazione e l’accompagnamento.
«Prima dell’arrivo in Italia – prosegue Forti – i rifugiati seguono un percorso che si discosta parzialmente da quello dei corridoi umanitari. Oltre alla necessaria verifica della vulnerabilità, si prova a valorizzare le loro competenze professionali con corsi di italiano e colloqui on line con aziende disposte ad assumerli».
Emerge da Fiumicino il volto dell’altro Afghnistan, quello che vorrebbe restare per diventare classe dirigente e trainare lo sviluppo, ma non trova più posto. È il caso della graphic design afghana che con le tre sorelle aveva dato vita alle proteste in strada a Herat, prima città occupata dai talebani, ed era stata fermata e malmenata dagli studenti coranici. Quando a Kabul, dove era fuggita, ha visto i talebani picchiare le donne in strada, ha capito che non poteva più rimanere. In Pakistan è stata intercettata dalla Caritas e inserita nei corridoi lavorativi, grazie ai quali ha preso contatto con una società di moda di Milano. Suo marito, dentista, poiché il titolo non viene riconosciuto in Italia, ha frequentato un corso di formazione per assistente di sedia e, trascorsi due mesi dalla presentazione della domanda di protezione, inizierà a lavorare da un dentista. O delle tre sarte che andranno invece a lavorare presso un’azienda di alta moda. Una volta assunti parteciperanno alle spese sostenute dalle diocesi, che garantiranno alloggio e corsi di lingua, fino alla piena autonomia. Presenteranno domanda di protezione senza percorsi privilegiati. Sette delle persone arrivate stamane andranno d Firenze e cinque a Milano A luglio ne arriveranno altre 80 di cui 10 dei corridoi lavorativi. L’implementazione dipende dalla Caritas che sta individuando talenti da valorizzare tra le persone vulnerabili in grado di soddisfare i bisogni delle aziende italiane che faticano a reperire certe professionalità. E dalle aziende.
«Accogliere, proteggere, promuovere, integrare sono le parole di riferimento che ci ha dato papa Francesco sul nostro impegno verso migranti e rifugiati- ricorda don Marco Pagniello, direttore di Caritas Italiana. - Questo progetto, che speriamo possa diventare un modello su base italiana ed europea, dimostra che è possibile concretizzare le quattro azioni in modo che tutti i soggetti coinvolti ne siano protagonisti e ne traggano vantaggio: le persone rifugiate, le comunità e i soggetti pubblici e privati». Per don Marco è importante il messaggio lanciato dal progetto: «La scelta di lavorare non solo per, ma con i poveri ci porta all’ulteriore scelta di valorizzare talenti e competenze delle persone. Alcuni processi di accoglienza sono falliti perché non c’è stata la giusta preparazione delle persone e della comunità. I corridoi lavorativi ci danno l’occasione per ribadire che siamo per la promozione, non per l’assistenza, Da parte del mondo imprenditoriale c’è molto interesse anche perché i percorsi formativi italiani non sempre sono efficaci. Vogliamo sfatare i pregiudizi su migranti e rifugiati che non vogliono lavorare. È più facile accogliere e integrare se i migranti non sono sfruttati». Il progetto è stato presentato a Commissione europea e Banca mondiale. L’obiettivo è che l’Italia, pioniera anche nei corridoi umanitari, non resti sola.
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