venerdì 1 aprile 2016
Zaha Hadid, l’architettura perde la sua star
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Con i suoi grandi occhi scuri e l’indubbio fascino mediorientale Zaha Hadid era il volto perfetto per divenire il simbolo delle cosiddette “archistar”, quell’ibrido contemporaneo che unisce genio architettonico, opere spettacolari e capacità di essere sempre al centro della scena mediatica. Zaha Hadid, però, brillava di luce propria, unica donna a comparire in un elenco di pochi eletti tutto declinato al maschile. Ieri, in un ospedale di Miami dove era ricoverata per le complicazioni di una bronchite, il mondo ha perso all’improvviso il più grande architetto donna contemporaneo, stroncato a soli 65 anni da un arresto cardiaco. Un personaggio popolare anche fra i non addetti ai lavori. Icona di stile globale, era stata eletta dal “Guardian” fra le “50 persone più eleganti del pianeta” nonché inserita dalla rivista “Forbes” fra le “100 donne più potenti del mondo”. Era stata la prima donna a vincere nel 2004 il prestigioso premio Pritzker, considerato il Nobel dell’architettura, e nel Regno Unito la medaglia d’oro del Royal Institute of British Architects. Insomma, un simbolo per tante donne, e non solo, l’architetto iracheno naturalizzato britannico, le cui opere sono tra le più importanti del design architettonico contemporaneo, dal London Olympic Aquatic Centre al Museo nazionale delle Arti e dell’architettura del XXI secolo (Maxxi) a Roma. Un rapporto speciale, quello con l’Italia, come ha sottolineato il ministro dei Beni culturali Dario Franceschini a proposito del museo romano: «L’uso innovativo dei volumi e degli spazi che ha caratterizzato la sua architettura si è espresso al meglio in questo edificio, che ha seguito in ogni fase dalla progettazione alla costruzione introducendo nuove tecniche e materiali». «Una grande donna: creativa e innovativa – aggiunge addolorata Giovanna Melandri, presidente del Maxxi –. Ci mancheranno molto il suo estro e il suo genio». «Un genio che ha anticipato con la sua capacità di guardare avanti le forme e le dinamiche della creatività contemporanea » aggiunge Margherita Guccione, direttrice architettura del museo. Cordoglio anche dal Comune di Milano, città in cui la Hadid stava lavorando a una delle tre torri di City Life, quella che è attualmente in fase di costruzione e che diventerà il quartier generale milanese di Generali. La torre, che si svilupperà per 44 piani per 175 metri di altezza, si affianca a quelle progettate da Arata Isozaki e di Daniel Libeskind. Nata Baghdad nel 1950 da una famiglia agiata, la Hadid aveva studiato matematica all’università americana di Beirut prima di completare la sua formazione alla prestigiosa Architectural association di Londra, dove si diplomò nel 1977 e tornò in seguito a insegnare. La Hadid ha saputo creare opere dalla costruzione elaborata, fatte di angolature nascoste e dettagli sorprendenti. Edifici dalla linea modulata e riconoscibilissima, progettati nel suo studio nel quartiere di Clerkenwell a Londra. Dal 1979 ad oggi il il suo Zaha Hadid Architects si è piazzato fra i 45 studi d’architettura più importanti del mondo, come confermano le tante commissioni: dall’Heydar Aliyev Centre di Baku in Azerbaigian e dagli impianti Bmw di Lipsia alle stazioni della funicolare di Innsbruck e la Guangzhou Opera House in Cina. Il lavoro degli ultimi trent’anni di Zaha Hadid è stato oggetto di retrospettive applaudite dalla critica internazionale presso il Solomon R. Guggenheim Museum di New York nel 2006, il Design Museum di Londra nel 2007 e il Palazzo della Ragione di Padova in Italia nel 2009. Ciascuno dei suoi progetti dinamici e innovativi, volto alla ricerca di spazi fluidi e complessi, si fonda su ricerche rivoluzionarie che spaziavano dall’urbanistica, all’architettura sino al design. Tra i suoi progetti attualmente in corso o recentemente conclusi si annoverano le stazioni del treno ad alta velocità di Napoli e Durango, la torre del quartier generale di Cma Cgm a Marsiglia, e i grandi progetti urbanistici per le città di Pechino, Bilbao, Istanbul e Singapore. Ora in tanti la piangono come Lord Rogers, l’architetto del Centre Pompidou e del Millennium Dome, secondo cui «nessuno, tra gli architetti degli ultimi decenni, ha avuto più influenza di lei». Ma per la particolare complessità dei suoi progetti, la Hadid aveva fatto fatica ad affermarsi per molti anni. Anche l’estate scorsa il disegno dello stadio per i giochi di Tokyo 2020 era finito su un binario morto tra polemiche sui costi: sarebbe stato il più caro della storia con i suoi 2,5 miliardi di dollari. Lei, però, che diceva di aver capito la logica della struttura dal grande ingegnere Peter Rice e che affermava di ispirarsi al paesaggio, alla biologia e a tutti gli esseri viventi aveva una sua idea precisa: «Oggi si può essere più ambiziosi: si possono fare grandi esperienze spaziali, ma occorre restare sempre con i piedi per terra».
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