Yayoi Kusama, "Fireflies on the Water", 2002. Whitney Museum of American Art, New York. In mostra a Bergamo, Palazzo della Ragione, fino al 24 marzo 2024 - Yayoi-Kusama/Sheldan Collins/Spontaneous Accomplishments, LLC
Un po’ meraviglia autentica, un po’ effetto Luna Park: la Infinity mirror room di Yayoi Kusama arriva nel medievale Palazzo della Ragione di Bergamo come gran finale dell’anno da Capitale italiana della cultura (in gemellaggio con Brescia, naturalmente). L’installazione dell’artista giapponese, ora 94enne, apre al pubblico domani ma al solo annuncio mesi fa è stata accolta da un successo travolgente, mandando gli ingressi rapidamente in sold out con prenotazioni non solo da tutta Italia ma anche dall’Europa. Un boom a cui gli organizzatori - The Blank Contemporary Art in intesa con il Comune di Bergamo - hanno risposto prolungando orari e durata della mostra, che si concluderà così il 24 marzo. Nonostante questo, il box office è comunque agli sgoccioli: al momento restano disponibili soltanto circa 6mila ingressi. La stessa Bergamo Alta sembra essere in preda a una Kusama-mania, con i celebri pois dell’artista che invadono tutti gli spazi, dalla centralissima via Colleoni alle tovaglie dei ristoranti.
Per la mostra “Yayoi Kusama. Infinito presente”, a cura di Stefano Raimondi, dal Whitney Museum di New York arriva a Bergamo
Fireflies on the Water (2002), ossia lucciole sull'acqua, una installazione dalle dimensioni di una stanza pensata per essere vista in solitudine, una persona alla volta, per un minuto soltanto. Gli specchi di vetro delle pareti e del soffitto e quello d’acqua del pavimento – su cui si protende una sorta di molo in miniatura – moltiplicano attraverso la mise en abyme una nube di 150 piccole luci colorate sospese nello spazio. Il cielo in una stanza, insomma.
Fireflies on the Water, come le altre Infinity mirror room, è perfetta per Instagram, e l’instagrammabilità delle opere è stata certamente uno dei motivi (insieme all’estrosità del personaggio, celebre anche per i suoi capelli fucsia e per le sue zucche coperte da pois neri) che hanno reso Yayoi Kusama un fenomeno pop ben al di là dei limiti circoscritti del sistema dell’arte contemporanea. Lo stesso bookshop della mostra, con ogni tipo di merchandising coperto di grossi punti, ne è la dimostrazione. Non ci sono però le costosissime borse realizzate per Louis Vuitton, dalla cui collaborazione sono nate anche stravaganti e forse pure improbabili installazioni su scala urbana (ad esempio, una Kusama gigantesca che appiccica pois colorati a un palazzo parigino).
La presenza dell’artista forse è ormai ipertrofica e il rischio è che Yayoi Kusama appaia come una parodia di se stessa. Certo, queste stanze dell’infinito si collocano su un confine difficile e ambiguo tra attrazione da parco divertimenti (quei labirinti di specchi che da Orson Welles in poi sono diventati un topos del dubbio sullo sguardo) ed esperienza artistica. Ma nemmeno si può dimenticare che alle Infinity mirror room Kusama ha iniziato a lavorare fin dal 1965, anni in cui diversi artisti lavoravano in modo stimolante sui meccanismi percettivi attraverso sistemi spaziali (si pensi in Italia a Gianni Colombo o allo stesso Lucio Fontana, che l’artista giapponese frequentò per alcuni mesi proprio nella metà degli anni Sessanta).
Così come può essere utile conoscere che alla base dell’arte di Yayoi Kusama ci sia l’esperienza, fin da bambina, di allucinazioni uditive e visive. Come la stessa artista ha raccontato, è iniziato tutto in un campo di fiori: “C’era una luce accecante, ero accecata dai fiori, guardandomi intorno c’era quell’immagine persistente, mi sembrava di sprofondare come se quei fiori volessero annientarmi”. Il fare arte per lei diventa presto uno strumento terapeutico (e in questo senso l’installazione si lega ai temi della resilienza e della cura al centro della Capitale Italiana della Cultura), tra l’altro contrastato dai genitori. Dopo avere vissuto a New York per 15 anni, nel 1973 Yayoi Kusama torna in Giappone e nel 1977 si fa ricoverare spontaneamente in un istituto psichiatrico in cui vive ancora oggi, e davanti al quale ha affittato un atelier dove dipinge quadri e scrive poesie.
Sarebbe però fuorviante entrare dentro Fireflies on the Water come in una allucinazione. L'approccio migliore resta il sorriso.