Ritornati nella loro abitazione nella capitale, Armin riprese la sua vita. Qualche cosa era però cambiato nella sua testa dopo la minestra lanciata dalla figlia in mezzo alla tavola e le esortazioni inascoltate di Lola. Armin si chiuse per un giorno e una notte nella sua camera e ne uscì esausto, dopo avere immaginato tutto ciò che poteva accadere nel futuro della Germania e nella sua vita privata. Per cercare di porre un freno alla deriva morale in cui il paese stava precipitando, Armin decise di scrivere una lettera all’attenzione del Signor Cancelliere Adolf Hitler per denunciare l’intolleranza e la persecuzione degli ebrei. Era il lunedì di Pasqua del 1933. «Vieni Lola che te la leggo». «Una lettera al Führer? Santo Cielo...». «Sì, gliela spedisco alla Cancelleria». Armin le accarezzò il viso per calmarla, di fronte alla paura della moglie per quanto gli sarebbe potuto accadere. Non c’era in tutta la Germania uno scrittore tedesco noto e famoso che stesse osando un passo del genere. Ora non rischiava solo lei come ebrea, ma tutti e due andavano incontro a un destino incerto. Armin si era preso carico della sua sofferenza e difendeva davanti al Führer i diritti di tutti i suoi figli [...].Armin voleva convincere Hitler di due cose fondamentali: gli ebrei sono parte integrante della cultura e della nazione tedesca e quindi discriminarli significa amputare la stessa Germania, che così perde la sua parte migliore; fare del male agli ebrei significa imprimere una macchia di vergogna indelebile sul futuro della Germania. Egli in cuor suo pensava che la ragione e il buon senso potessero alla fine prevalere, anche di fronte all’ondata antisemita che interessava il paese. «Avevo sperato che quella mia lettera avesse qualche impatto, perché non solo avevo espresso la mia indignazione e lo avevo pregato di fare un passo indietro, ma anche perché gli avevo spiegato che la Spagna era andata in crisi quando aveva cacciato gli ebrei, e avevo previsto la rovina della Germania se Hitler e i suoi seguaci li avessero perseguitati. Il tempo mi ha dato ragione. Non c’era bisogno di essere molto saggi per dirlo. Bastava un minimo di consapevolezza storica, oppure conoscere gli ebrei e voler loro bene come ho fatto io fin da giovane».Armin, come tanti suoi conoscenti ebrei, era anche un po’ ingenuo. Era convinto che lo stesso Hitler non fosse a conoscenza di tutti gli «eccessi» che si stavano verificando nel paese dopo il suo arrivo alla Cancelleria. «Nel marzo del 1933, quando mi consigliai con amici ebrei su che cosa avrei potuto dire al cancelliere del Terzo Reich Adolf Hitler, non era per nulla chiaro se fosse al corrente di tutti gli avvenimenti della capitale tedesca». In realtà il capo del Reich nei mesi prima della presa del potere si era mosso in modo accorto per evitare di spaccare troppo il paese. Lanciava proclami e poi arretrava, era capace di far coesistere la sua furia cieca con un freddo calcolo politico. Quando nell’agosto 1932 stava trattando con il vecchio cancelliere Kurt von Schleicher le condizioni della sua nomina, trattenne i suoi che, dopo la condanna a morte di cinque Sa, le Camicie brune colpevoli di avere ucciso un militante comunista, erano pronti a scendere nelle piazze per gridare vendetta. Voleva evitare il ricorso alla forza per raggiungere il suo scopo.Ogni illusione sulle reali intenzioni di Hitler venne meno per Armin quando, il 10 maggio 1933, oltre ventimila libri furono bruciati a Berlino in un enorme falò [...]. Al termine del comizio, a cui partecipò lo stesso Goebbels, la folla scandì slogan e invettive contro gli autori dei libri messi al bando. Tra i testi proibiti dal nazismo, assieme a quelli di Karl Marx, Ferdinand Lassalle, Sigmund Freud, Maximilian Harden, Stefan Zweig, c’erano anche quelli di Armin T. Wegner. «I grandi riflettori puntati sulla piazza – scrisse il giornale ebraico “Jüdische Rundschau” – spargevano la loro luce anche sull’abisso in cui sprofondavano la nostra esistenza e il nostro destino. Non sono stati accusati solo ebrei, ma anche uomini di puro sangue tedesco. Questi ultimi vengono giudicati esclusivamente per le loro azioni. Per gli ebrei, invece, non c’è bisogno di nessun motivo specifico; come recita l’antico detto: “L’ebreo finirà bruciato”».