I ratti di
Lohengrin sconfiggono i labirinti di scale, il carcere e gli ologrammi della follia di
Tristano e Isotta. Bisogna attendere il secondo giorno del Festival wagneriano per toccare con mano l’autentico “mito” di Bayreuth.
Soprattutto serve arrivare al terzo atto del Lohengrin ambientato fra topi ed esperimenti scientifici per dire: ecco finalmente espressa ai massimi livelli l’imponenza dei drammi musicali di Richard Wagner. Non lo stesso si può affermare per la nuova produzione di Tristano che il 25 luglio ha aperto la rassegna voluta dall’irrequieta penna tedesca fin dal 1876 nel teatro fatto costruire a misura delle sue partiture sulla “collina verde” di questa città della Baviera. Un Festival considerato l’antesignano delle attuali kermesse musicali. Perché il genio romantico lo aveva concepito popolare, in un teatro – il
Festspielhaus – spartano e senza gerarchie.
Una scena di Tristano e IsottaOggi Bayreuth ha ben poco di popolare. Le opere che ogni estate vanno in scena per poco più di un mese hanno il cliché dell’evento esclusivo (soprattutto per le difficoltà a trovare i biglietti e per i loro costi: fino a 1.200 euro al mercato nero).
Ne è la dimostrazione la prima dell’atteso Tristano. Atteso perché la regia è curata dalla pronipote del compositore, la 37enne Katharina Wagner, al vertice del Festival insieme con la sorellastra Eva Wagner-Pasquier, ma dal prossimo autunno sola al comando. E atteso perché il direttore d’orchestra è una delle migliori bacchette wagneriane, il tedesco Christian Thielemann, che, reduce dallo scotto di non essere stato scelto come nuova guida dei Berliner Philharmoniker, è appena stato nominato direttore musicale del Festival. Una novità che ha scosso Bayreuth dove la rassegna è da sempre una questione di famiglia per il clan Wagner.
La svolta ha un significato preciso e rivela come il Festival sia ormai nelle mani della coppia artistica Katharina Wagner-Christian Thielemann. I due hanno caratteri difficili ma, alla stregua di Tristano e Isotta, si sono trovati insieme travolti dalla passione: quella per Wagner. E hanno sguainato la spada: stoppata la 70enne Eva; emarginato il russo Kirill Petrenko, astro del podio ma “colpevole” di essere stato designato al timone dei Berliner nonostante quest’anno sia di nuovo sulla “collina verde” come direttore dell’
Anello del Nibelungo (
Ring des Nibelungen) realizzato per il bicentenario wagneriano del 2013; e poi fatti fuori due cantanti di spicco perché non graditi alla coppia.
Complotti, liti e colpi di scena degni di una soap opera. Riassunto delle ultime puntate. Katharina intima alla sorella – attraverso un avvocato – di non mettere piede in teatro durante le prove dell’edizione 2015. Dietro il divieto, lo scontro fra Thielemann e Petrenko che ha Eva dalla sua parte. Poi Katharina caccia il tenore Lance Ryan (che doveva essere Sigfrido) per aver detto che è impossibile lavorare con Frank Castorf, il controverso regista del
Ring. Petrenko minaccia di lasciare. E la soprano Anja Kampe, scritturata per essere Isotta, viene sostituita da Evelyn Herlitzius a poche settimane dall’apertura del Festival: ufficialmente per ragioni vocali, ufficiosamente perché è la compagna di Petrenko.
Un intrigo familiar-musicale intorno al “tempio” di Bayreuth che la Germania considera un orgoglio nazionale. Tanto che la prima è una passerella tutta tedesca di vip e star. Compresa la cancelliera Angela Merkel, appassionata di lirica, che quest’anno è stata al centro di una leggenda metropolitana: è svenuta nell’intervallo o ha ceduto la sedia in cui si trovava?
Fatto sta che il Tristano cupo e sinistro, con geometrie gelide e atmosfere crepuscolari – a 150 anni dalla prima esecuzione – non fa il botto. La stampa tedesca lo esalta, forse più per spirito di campanile. Certo è che
Katharina riesce a raccontare l’anima di un amore sublimato dalla morte solo per un terzo. Nel senso che convince nel primo atto, non negli altri due. Ma il pubblico la applaude.
È accattivante l’idea di collocare il viaggio in nave di Tristano con l’appena conquistata Isotta in un labirinto di scale, a dire le difficoltà della loro attrazione e le distanze con il resto del mondo. E va premiata la scelta di considerare il filtro d’amore un accessorio nella trama: i due non lo bevono ma lo versano sulle mani unite, come a consacrare un desiderio già chiaro. Poi si sprofonda nel cervellotico.
Il secondo atto si svolge nel buio di una prigione, quella di re Marke che ha le fatture di un gangster: i riflettori delle guardie seguono i due amanti che si rifugiano sotto una tenda improvvisata per celebrare la loro estasi. Interessante il momento in cui Tristano e Isotta, di spalle al pubblico, vedono la loro fuga con la videoproiezione di se stessi in un tunnel: non a caso è l’immagine scelta come icona della produzione.
Il terzo atto ha i caratteri del delirio di Tristano in cerca dell’amata. Triangoli luminosi vengono moltiplicati nella profondità nera e accolgono Isotta, o meglio le sagome della principessa a cui cadono testa e braccia quando Tristano si avvicina. Il
Liebestod (amore-morte) finale è cantato da Isotta su una barella d’ospedale dove giace il guerriero. Wagner vuole che lei sia destinata a morire. Non la pronipote che la fa trascinare via da re Marke in una versione rivista di amore-morte. Katharina opta per un’impronta nichilista che non lascia spazio a spiragli, mentre nel capolavoro più ateo di Wagner – definito da lui stesso «qualcosa di terribile, capace di rendere pazzi gli ascoltatori» – si possono scorgere alcuni barlumi: il dono totale di sé passa dalla morte come la Risurrezione passa dalla Croce.
Thielemann dà il meglio di sé nel terzo atto. È un esimio direttore ma in questo Tristano è costretto a fare i conti con qualche dissenso degli spettatori. Talvolta è inaspettatamente lento e non sempre riesce a tenere alta la tensione. Dipende anche da
Evelyn Herlitzius, una Isotta che a fine spettacolo raccoglie una personale dose di “buu”: presa dalla foga (e dalla paura), non controlla a dovere la voce. In formidabile forma Stephen Gould che si cala fino in fondo nei panni di Tristano e lo esalta. Impressionanti Georg Zeppenfeld (re Marke) e Christa Mayer (Brangäne); solido il Kurwenal di Iain Paterson, mentre lascia a desiderare Raimund Nolte (Melot). Un trionfo? Non proprio. Ma
ecco il prodigio di Lohengrin, seconda opera nel programma del Festival. E per di più diretta dal francese Alain Altinoglu, al debutto a Bayreuth e pupillo di Thielemann, che regala un’interpretazione appassionata e poetica del terzo atto, dopo i primi due con meno smalto. È il “
Lohengrin dei topi”, com’è stato ribattezzato, ideato nel 2010 dal regista Hans Neuenfels che va in scena per l’ultimo anno. Hanno ragione i tedeschi quando sostengono: «È stato uno scandalo. Lo abbiamo contestato. Ma alla fine piace». È un dramma dominato dal bianco. Con tratti di ilarità: ad esempio, quando entrano i coristi travestiti da ratti con code e occhi rossi. Ma anche di singolare suggestione, come nel caso del duetto sul talamo d’amore.
Il tutto con un cast da incorniciare: straordinario Klaus Florian Vogt in Lohengrin; delicata ed efficace Annette Dasch in Elsa; possente Wilhelm Schwinghammer in re Heinrich; energica l’eccellente Petra Lang in Ortrud. Venti minuti di applausi con un’insolita standing ovation. E a ragione.Nel cartellone 2015 anche l’intero
Ring (composto da
L’oro del Reno, Valchiria, Sigfrido e
Il crepuscolo degli dei). Poi
L’olandese volante con la bacchetta di Axel Kober. Esauriti i 60mila biglietti per sentire Wagner su scomode poltrone in legno e in una sala senza aria condizionata, come fossimo ancora a fine Ottocento. Ma anche qui sta la suggestione di Bayreuth.