Quale laurea occorre per scegliere il colore giusto per un prodotto da pubblicizzare in un paese straniero? Marketing, Statistica o Lettere? «Quasi tutti diranno Marketing, forse alcuni coraggiosi Statistica. Ma la verità è che la facoltà più giusta è Lettere». Lo dice in tono scherzoso Anna Soncini, docente di Letteratura francese all’Università di Bologna, a margine della tre giorni di studi “Letterature al lavoro”, organizzato a Bologna dal corso Erasmus Mundus in Culture letterarie europee in collaborazione con le università straniere del consorzio. «Le racconto una storia: un’importante industria dell’India aveva lanciato un prodotto eccezionale sul mercato, uno di quelli infallibili, che tutti avrebbero comprato. Eppure passavano i mesi e gli acquisti erano pressoché inesistenti. Poi uno studente di Lettere si rese conto che il colore del prodotto, celeste, era quello con cui in India si identifica la povertà, e per questo non lo comprava nessuno. Anche per questa ragione i nostri laureati sono così richiesti all’interno delle società pubblicitarie». Non è vero che i laureati in discipline umanistiche siano quelli che riscuotono meno successo sul mercato del lavoro, e anche i dati lo dimostrano. «Molto spesso i nostri studenti smettono di aggiornare i curricula su Alma Graduate, il sito che si occupa dell’impiego post laurea, perché trovano una collocazione velocemente – continua
Andrea Battistini, professore di Letteratura italiana –. I settori lavorativi di riferimento sono i più disparati: dalla pubblicità all’agraria, dalla finanza ai bilanci. E così lo
storytelling, la tecnica base del racconto narrativo o filmico, diventerà fondamentale per farsi approvare un progetto da un’azienda, o per conquistare nuovi clienti. La centralità che lo
storytelling ha assunto negli ultimi anni è una realtà dalla quale partire per una riflessione seria che voglia interrogarsi sullo stato delle cose nel rapporto tra mondo del lavoro e scuole umanistiche. Da qui l’idea di coinvolgere lo scrittore Carlo Lucarelli, fondatore di Bottega Finzioni, per spiegare le tecniche delle arti umanistiche, sviluppando gli aspetti narrativi attraverso progetti editoriali e cinematografici, da quelli letterari del romanzo storico e della biografia alla
graphic novel e al fumetto destinato a un pubblico più giovane, fino ad arrivare alla produzione di un documentario pensato per una diffusione internazionale. «Che non si mangi con la cultura è una leggenda e noi siamo qui per sfatare questo mito», rincara Battistini. Una frase che non stonerebbe se pronunciata dal palco di una piazza, nel contesto di una manifestazione contro i tagli all’istruzione, ma che diventa molto più efficace ascoltata dagli scranni dell’aula magna dell’Università più antica del mondo. «C’è uno stretto rapporto tra i saperi umanistici e quelli pratici delle industrie, dell’economia, della finanza – spiega –. Le discipline umanistiche non danno dei contenuti da spendere in campi professionali specifici ma permettono ai nostri laureati di essere imbattibili nel vendere idee, una qualità indispensabile nel mondo di oggi. Motivo per cui sono molto richiesti, soprattutto all’estero. Hanno una conformazione mentale che li rende più appetibili in determinati ambiti». Non cercare di imitare sfere di apprendimento lontane, ma sfruttare al massimo le qualità peculiari delle scienze umanistiche, ovvero la duttilità. Il progetto Head (Humanities and Enterprises Annual Dialogue) nasce proprio con questo intento, come ponte tra gli studenti universitari di area umanistica e l’imprenditoria internazionale per dibattere come oggi una formazione umanistica, e in primo luogo letteraria, sia ancora fondamentale in diversi settori, e come domani potrebbe essere addirittura necessaria in relazione alle riforme europee del mondo del lavoro.