venerdì 29 aprile 2016
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Quattro artiste e nemmeno una ventina di opere. Eppure questa mostra di non ampie dimensioni, ma dura e rigorosa, azzera tante domande sul senso e sul ruolo dell’arte. Non potrebbe essere più esplicita nell’incoraggiarci a guardare con consapevolezza la realtà che ci circonda, a cercarvi il nostro posto, a prendere posizione, a dare un senso costruttivo alla vita. Silencio vivo è il titolo della mostra. A curarla sono Lola G. Bonora e Silvia Cirelli ed è allestita al Padiglione d’arte contemporanea di Ferrara in occasione della XVI edizione della “Biennale donna”. La manifestazione riprende così, dopo la forzata interruzione del 2014 a causa del terremoto che ha danneggiato la città e i suoi luoghi espositivi, il percorso di esplorazione e approfondimento della creatività femminile internazionale in relazione ai temi più caldi della convivenza civile nei paesi segnati da complesse e a volte drammatiche condizioni politiche e sociali. Quest’anno l’attenzione è rivolta al panorama della ricerca latinoamericana le cui multiformi modalità espressive vengono testimoniate da Anna Maria Maiolino (1942) di origine italiana ma trasferitasi in Brasile nel 1960, dalla messicana Teresa Margolles (1963), dalla cubana Ana Mendieta (1948-1985) e dall’argentina Amalia Pica (1978). Sono queste le artiste chiamate a rompere il silenzio che si richiama nel titolo, quel silenzio, precisa Cirelli in catalogo, «imposto dalla censura, dalle feroci dittature militari, dalla criminalità, oppure come effetto delle rotture di un’ipertrofia comunicativa, che spesso invece di facilitare il dialogo lo ostacola». Dalla mostra emerge un mosaico di voci accomunate da un impegno radicale e inflessibile che non concede nulla all’effettistica, anche quando i temi e gli episodi trattati potrebbero prestarsi a ricami sensazionalistici. Prevalentemente legate a esperienze introspettive, le opere selezionate ci mettono davanti ai drammi quotidiani di vite esiliate o assediate e il corpo non può che essere un protagonista di tali situazioni. Nei lavori di Ana Mendieta degli anni ’70 e ’80 il corpo è utilizzato come campo d’azione e come metafora rivestendo il doppio ruolo di elemento agente e agito, di protagonista dell’evento ma anche di vittima ( Untitled, 1974-2012). Negli stessi anni Anna Maria Maiolino produce una serie di opere incentrate sul tema del clima repressivo dei regimi totalitari che tolgono letteralmente voce all’individuo lasciandolo incapace di esprimersi liberamente ( In-Out, 1973-2000). E mentre Amalia Pica ci concede una nota d’ironia con i suoi lavori legati alla bulimia comunicativa che molto spesso conduce all’equivoco (succede in Palliative for Chronic Listeners del 2012 composto da alcuni oggetti che a prima vista sembrano gioielli, mentre sono tappi per orecchie), Teresa Margolles ci riporta alla cruda e terribile condizione della morte che non viene fotografata, né ritratta e neppure descritta. Ci viene fatta percepire attraverso il gelo dell’obitorio cui ci rimandano un paio di climatizzatori dai quali esce un tenue fumo biancastro. Non è comune acqua vaporizzata, ma acqua utilizzata per pulire i cadaveri delle persone non identificate negli obitori pubblici di Città del Messico. © RIPRODUZIONE RISERVATA Ferrara, Padiglione d’arte contemporanea SILENCIO VIVO Artiste dall’America Latina Fino al 12 giugno Alla “Biennale donna” le ricerche di Anna Maria Maiolino (Brasile), Teresa Margolles (Messico), Ana Mendieta (Cuba) e Amalia Pica (Argentina)
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