Nel suo
Ci faremo l’abitudine (edizioni Epoché, pagine 208, euro 16,50) racconta l’Iran del quotidiano senza mezze misure. Vale a dire, senza sfoderare tutto quel repertorio di donne violate, imprigionate, umiliate e costrette a fuggire in Occidente a cui la moderna letteratura persiana, letta e consumata a Ovest dell’Europa, ci ha abituato. «Se volete sapere come vivono le donne iraniane in Iran, vivono esattamente come tutte le donne del mondo. Lavorano duro, studiano duramente, lottano con i problemi di ogni giorno e cercano di ottenere le cose che piacciono loro. Proprio come Arezù nel libro». Chi parla è Zoya Pirzad, vera autorità letteraria nel suo Paese, traduttrice e scrittrice, già "Prix du Courrier International 2009". La Pirzard vive a Teheran e Arezù è la sua creatura: un’eroina alla Jane Austen, una borghese ribelle in versione orientale, indipendente al punto da intraprendere un mestiere da uomo (l’immobiliarista) ma ancora abbastanza tradizionale quando si parla di sentimenti. E la sua relazione con Shorab, uomo inafferrabile e deciso, determinerà i rapporti con i familiari, in un Iran delle piccole cose, dove i dettagli fanno la differenza e i giardini delle case sfitte parlano per chi li ha abitati.«I pregiudizi diffusi sulle donne iraniane sono duri a morire: certo, in Occidente hanno fatto sempre molto scalpore e hanno avuto molto seguito i movimenti femministi e il pensiero delle donne iraniane esuli. E la letteratura sulle donne d’Iran si identifica con
Leggere Lolita a Teheran. Ma, tra le donne iraniane, esistono modi diversi di vivere una determinata condizione. E molte di loro hanno una vita professionale ricca e difendono con grande convincimento l’appartenenza alla cultura islamica senza per questo identificarsi con il governo».
Chi sono queste donne e che ruolo hanno, attualmente, nella società iraniana?«Sono tantissime: scrittrici, artiste, attrici. Marjane Satrapi e Shirin Neshat sono gli esempi più celebri delle giovani iraniane all’estero. Ma pensate soltanto al mercato editoriale: quasi tutte le case editrici sono in mano alle donne, in Iran. Nel campo della letteratura sono le donne a guidare un mercato fiorente e di grande tradizione».
Si è mai trovata all’estero a dovere difendere la sua appartenenza culturale di fronte a chi identifica la cultura persiana solo con la lapidazione e l’oppressione della donna? Come si comporta in questi casi?«Mi trovo sempre in situazioni del genere. Anni fa, ero solita spiegare varie ragioni a chi commetteva gaffes; oggi sorrido e cambio argomento di conversazione. Se molti ignorano l’eredità culturale della Persia, lascio che rimangano beati nella loro ignoranza».
Neda e Sakineh. L’80% dei lettori occidentali, appena si parla di Iran, citano correntemente questi due esempi. Quanto la vicenda di queste due donne può diventare strumento di propaganda, sia per il flusso delle notizie diffuse in Occidente che per quelle diramate dall’Isna? «È già propaganda. Ma la domanda è: perché nessuno si occupa di tutti gli altri detenuti e detenute in quel braccio della morte? Detenuti che riceveranno trattamenti simili anche solo per avere professato una religione diversa?».
Lei è un sangue misto: irano-russa per parte di padre, armena per parte di madre. È una condizione che l’ha favorita culturalmente? E cosa si porta dietro, lei, dell’armenità di sua madre? «Mi porto dietro storie, esperienze, racconti. Sebbene la minoranza armena sia sempre stata e sia molto amata dalla maggioranza musulmana in Iran, i matrimoni misti non sono molto ben visti, specialmente dagli armeni armeni. Questo è il tema di uno dei miei libri, la trilogia
Un jour Avant Pâques , pubblicata in Francia. La cosa divertente è che non avevo mai avuto problemi con i musulmani a causa del mio sangue misto, ma ne ho avuti moltissimi con gli armeni».
In definitiva, cosa significa essere donna a Teheran?«Significa essere donna. Perché non c’è una grande differenza tra essere donna in Occidente e essere donna in Iran. In Iran abbiamo gli stessi problemi che le donne hanno ovunque. Nessuno si ricorda che in Svizzera le donne hanno ottenuto il diritto di voto solo nel 1971. Anche nei Paesi più sviluppati, le donne non hanno ricevuto i loro diritti legittimi in tempo. Naturalmente, in Iran, ci sono avvenimenti orribili. Ma le questioni da donne, in fondo, sono più o meno le stesse in tutto il mondo».