Vanessa Ferrari sul podio con la medaglia d'argento - Ansa
Corpi che si flettono, menti che si piegano. Vanessa non è più una bambina che ha smarrito il tempo. Fuori diluvia acqua, ma dentro all’Aryake Gymnastic Center piove argento sul petto di una piccolo donna che ha finito di scrivere il suo romanzo. Body rosso che luccica. E occhi di tigre quando sale in pedana, il fiato spezzato. Il suo, e quello di chi sa cosa ha passato. Poi solo salti, diagonali, leggerezza e corpo. Libero, come non era stato mai.
È corto il tempo quando hai un conto infinito da chiudere.
Novanta secondi, non uno di più: non sbagliare Vanessa, non adesso. Simone Biles non c’è, la dominatrice annunciata si è arresa prima, stroncata dalla tensione, fermata dai demoni che le bussano in testa. Un motivo in più per crederci, per seguire solo la musica. Con te partirò è un sottofondo leggero: Vanessa parte e non si ferma più. Solo l’americana Carey riesce a starle davanti, 14.366 punti contro 14.200. Altri giudici, stavolta. Altri numeri aridi. Ma c’è una storia qui, una rincorsa lunga quattro Olimpiadi. Lei quella storia se la è impressa dietro, sul collo: un tatuaggio che fa male, ma che l’ha aiutata a sentire cosa doveva fare. Ci sono cinque cerchi, tre date: 2008, 2012, 2016.
E tre città: Pechino, Londra e Rio. Sono il timbro a fuoco di due quarti posti e un piazzamento deludente. Hanno dentro pianti, polemiche, a Londra anche la certezza di essere stata derubata. È questo il limite terribile della ginnastica artistica, il giudizio di chi decide, la scure inappellabile e soggettivo del gusto altrui. Ma questa disciplina il senso ce l’ha nel nome: è una forma d’arte, non è solo tecnica. E vincente è colui che lascia il segno, chi è capace di andare al di là del gesto, arrivando al cuore. Sono parole sue, dette altrove, quando occorreva costruirsi una ragione per continuare a crederci.
Perché aveva vinto tutto Vanessa Ferrari, l’oro mondiale e altre quattro medaglie iridate, 11 europee, sei Coppe del mondo di specialità. Solo l’Olimpiade era terra vietata, veleno, dolore, l’appuntamento della vita al quale arrivi sempre tardi per un soffio. Chissà se lo avrà rivisto nella testa questo film anche ieri, mentre aspettava il verdetto. Gli infortuni, il tendine spezzato, i 500 giorni senza gare, le malattie, le illusioni e le risalite. Tre settimane prima di Tokyo, Vanessa ancora non aveva la qualificazione in tasca. Ci voleva fiducia, occorreva credere, come dice adesso, che la volontà supera ogni ostacolo.
Gli occhi in alto verso il tabellone allora, l’altoparlante del palazzetto che fa bum bum bum, il rumore del cuore. Finisce con un sorriso enorme quando arriva la cifra che vuol dire medaglia d’argento, traguardo, liberazione. Enrico Casella, più un padre che un allenatore, se la stringe tutta, e lei sembra un passerotto dentro una montagna. Vanessa compirà 31 anni tra cento giorni, l’americana che l’ha battuta ne ha dieci di meno, come la russa Melknikova, terza a pari merito con la giapponese Murakami. È un confine che conta, un record da sommare al fatto di essere diventata la prima italiana a salire sul podio della ginnastica artistica in una gara individuale ai Giochi. «Finalmente», dice lei dopo, quando i sorrisi si possono regalare al passato.
«È tutto esattamente come l’avevo sognato…». Una frase che contiene la volontà di ferro e il coraggio, la grazia e la capacità di non arrendersi. «Spero sempre che il mio massimo basti – spiega – e questa volta è bastato. La Carey aveva un esercizio dal coefficiente più difficile del mio: partiva avanti, giusto così. Sono felice. Ora vado in vacanza, poi penserò al futuro». Enrico Casella dice che Parigi è solo fra tre anni, lei ride come se fosse una battuta di spirito. Ma forse non lo è. Anche se come sembra inevitabile dovesse finire qui, ieri Vanessa si è ripresa la vita. La pretty baby non c’è più, la farfalla adulta è volata dentro la storia. Un’altra di questa irripetibile Olimpiade di silenzio e gioia, deserto e sorpresa.