La rabbia. L’impotenza. Una 'ragion di Stato' infame e cinica. Lo squarcio nella carne di un Paese che – quasi trentasei anni dopo – non smette di sanguinare, non può essere relegato nell’oblio, ma neppure consegnato alla storia. La tragedia assassina di quella sera dell’estate 1980, il 27 giugno, con quella specie di guerra nei cieli italiani. Con quell’aereo che volava da Bologna a Palermo senza problemi e d’improvviso scompare dai radar. E la mattina seguente quell’immagine, che fece il giro del mondo, d’un cadavere che affiora a pelo d’acqua. Nel mare di Ustica. Il film di Renzo Martinelli serviva. Centosei minuti per non dimenticare quegli ottantuno morti. Per far indignare, e indignarsi, di nuovo. Per non stancarsi di vedere e sapere. Per continuare a raccontare una vicenda che, fin dal primo momento, nelle aule giudiziarie (come pure in quelle parlamentari) è stata sbranata da depistaggi, menzogne, morti troppo puntuali per essere fatalità, insabbiamenti, strani suicidi, prove sparite, 'smarrite' o truccate. Nessuno s’aspetti una pellicola hollywoodiana e magari ridondanti effetti speciali: il tratto è sobrio, scarno, un po’ per virtù e un po’ per necessità (di restare nel budget). Lo stile narrativo, in tutto e per tutto, è quello martinelliano, da '
Vajont' in poi. Segnato da una spasmodica ricerca dei fatti: «Un film che rivendica la sua capacità di stimolare riflessioni che nessun altro media è in grado di stimolare con altrettanta potenza – dice Martinelli, che firma regia, soggetto e sceneggiatura –. Che, forse, ci può avvicinare a una verità che stiamo cercando da oltre trent’anni». Perché «tutto quanto viene dichiarato nel corso del film è inconfutabilmente supportato da materiale documentale». La sua tesi si dipana fotogramma dopo fotogramma, ma viene svelata compiutamente negli ultimi dieci minuti: si trattò di una collisione in volo, fu un caccia americano che tranciò a metà fusoliera, impattandolo nel cielo di Ustica, il
Dc9 dell’Itavia in volo su Ustica e appena iniziata la discesa verso Palermo, mentre insieme a un altro caccia a stelle e strisce inseguivano, per abbatterlo, un Mig libico che si nascondeva ai radar volando sotto la pancia del
Dc9. C’è molto mare e c’è molto cielo nel film, con qualche tramonto esaltato dalla fotografia. C’è il dolore di 'Roberta Bellodi', mamma giornalista che su quell’aereo aveva messo sua figlia 'Benedetta' di sette anni, c’è la sua pazzia. Ma anche poi la decisione di «tornare a fare il mio lavoro» indagando proprio sul disastro – la strage – insieme all’«onorevole Corrado di Acquaformosa», membro della commissione d’inchiesta parlamentare sul
Dc9 Itavia, la cui moglie elicotterista era stata la prima a raggiungere e scoprire un Mig libico precipitato in Calabria proprio la sera del 27 giugno 1980, che cocciutamente cerca la verità e qualche settimana dopo muore per un (improbabile) incidente stradale. Mig che, ufficialmente, verrà invece dato per precipitato durante un volo d’addestramento una ventina di giorni più tardi (grazie anche a un’autopsia- farsa sul corpo del pilota). Ed era quello messo nel mirino dei due caccia statunitensi. Ma, ad ammetterne l’abbattimento quella stessa sera, si sarebbe troppo facilmente spinto a fare due più due. Un altro parlamentare, l’“onorevole Faragalà”, membro anche lui della commissione sul
Dc9, al funerale della moglie di Acquaformosa, gli si avvicina e gli sussurra nell’orecchio: «Non si fermeranno mai...». E nel buio della sala, mentre il film scorre sullo schermo, tornano in mente le parole che pronunciò parecchi anni fa Daria Bonfietti, presidente dell’“Associazione dei parenti della vittime della strage di Ustica”: «Appariva sempre più chiaro che coloro che lottavano contro la verità esistevano, erano esistiti fin dagli istanti successivi il disastro e operavano a vari livelli nelle nostre istituzioni democratiche, per tenere lontana, consapevolmente la verità». La conclusione del racconto di Martinelli è amara, amarissima: una durissima sconfitta per Roberta Bellodi, una tragica sconfitta per Corrado di Acquaformosa. Tuttavia l’8 aprile dell’anno scorso la prima Sezione civile della Corte d’appello di Palermo respinge il ricorso dei ministeri dei Trasporti e della Difesa contro il verdetto di primo grado che li condannava a risarcire i familiari delle vittime. Confermando che quel
Dc-9 venne abbattuto nei cieli di Ustica per essere stato colpito da un missile lanciato da un altro aereo che quella sera del 27 giugno 1980 intersecò la rotta del volo
Itavia...