Dawn ha impiegato anni per fare i conti con la sua infanzia. E per mettere a fuoco ciò che fino ad allora le era apparso confuso, inconfessabile perfino a se stessa: suo padre, la persona che avrebbe dovuto più di ogni altra proteggerla, ne aveva manipolato la personalità, nascondendo dietro un matrimonio falso e infelice la sua omosessualità praticata con zelo.
Fuori dal buio, la mia vita con un padre gay è un libro scomodo. Appena tradotto per l’Italia da Edizioni Ares (pagine 240, euro 14), nel Nord America
Out from Under, dal 2007 solleva dibattiti ogni qualvolta la sua autrice, Dawn Stefanowicz, ne parla in pubblico. Perché i racconti di una donna che fu bambina negli anni Sessanta e adolescente nei Settanta, a proposito di un padre perennemente a caccia di avventure sessuali, disordinato nella scelta dei giovani fidanzati così come nelle relazioni con la moglie, fragile e passiva, e con i tre figli, fanno drammaticamente da contraltare all’attuale percezione delle unioni omosessuali e dei figli che crescono all’interno di esse. Il padre, racconta Dawn nel suo libro, spesso portava a casa gli amici e si intratteneva con loro in salotto, incurante dei figli che sentivano tutto – e talvolta vedevano – dal piano di sopra, pieni di vergogna. O si faceva accompagnare da lei, ragazzina confusa e disprezzata, nelle sue missioni di conquista nei locali notturni più equivoci della Florida e della California.Dopo anni di questa vita, la moglie lo lasciò, lui si ammalò di Aids e nel 1991 morì. Solo da adulta, a sua volta sposata e madre, aiutata da psichiatri competenti, Dawn è riuscita ad accettare il suo passato fatto di inganni, umiliazioni, privazioni affettive e spesso vera e propria violenza. Oggi ha trasformato la sua infanzia da incubo in una battaglia «per un obiettivo più alto», come scrive nella premessa al libro: «Quello di mostrare a tutti quanto le strutture parentali e familiari possano incidere negativamente sullo sviluppo dei bambini». Fuori dagli impacci del politicamente corretto, quello che vuole dire Dawn è che vivere con un genitore omosessuale, così come è accaduto a lei, può distruggere la psiche di un bambino. «Si spera – aggiunge – che i responsabili delle politiche nazionali non permettano che gli interessi specifici di nessun singolo gruppo possano calpestare il benessere o gli interessi dei nostri bambini». Dawn, insomma, in virtù della sua esperienza personale, non fa mistero di nutrire dubbi sulle legislazioni che consentono i matrimoni gay e, soprattutto, le adozioni agli omosessuali. Nuota controcorrente, però, se è vero che negli Stati Uniti la fecondazione assistita aperta a ogni possibilità e la legislazione sull’adozione rendono assai diffusa la presenza di figli all’interno di coppie omosessuali: le sole adozioni si sono triplicate negli ultimi dieci anni e più di trentaduemila bambini sono stati adottati da coppie composte da persone dello stesso sesso. A livello di pubblicistica più o meno scientifica, apparentemente non esistono dubbi in proposito: genitori dello stesso sesso non costituiscono un problema, semmai una ricchezza per i figli.La famiglia ideale, insomma, non esiste. Ma qual è la verità? Quella drammatica vissuta e denunciata da Dawn, legata però a un universo gay trasgressivo e promiscuo, persino violento nelle sue scorribande sessuali, che però oggi si vuole considerare minoritario? Oppure quella, per fare un salto in Italia, di Francesca Vecchioni e della sua compagna Alessandra, novelle “madre e madre” di due gemelle concepite in Olanda con la donazione di seme, ritratte raggianti sulle copertine di un settimanale a inizio luglio, pronte a ogni critica perché sicure che «tutte le recenti ricerche dimostrano che la capacità genitoriale prescinde dal sesso»? Politicamente scorretta la risposta che dà lo psicologo olandese Gerard van den Aardwg nella prefazione a
Fuori dal buio: «Il grande sforzo internazionale di imporre l’ideologia gay nel mondo diffonde più d’una grossa menzogna per confondere l’opinione pubblica. Una di esse è che la genitorialità gay sia innocua e che, anzi, possa produrre figli più felici ed emotivamente stabili di quanto non facciano la genitorialità tradizionale e la coppia eterosessuale di padre e madre. Si sostiene che ciò sia comprovato da ricerche scientifiche. La verità è ben diversa. Le conclusioni di tutti gli studi meno soggetti a pregiudizi evidenziano negli adolescenti cresciuti da genitori gay problemi emotivi e deformazioni sessuali ben più gravi della media». Lo ha scritto, a metà giugno, anche il ricercatore americano Mark Regnerus, in un saggio pubblicato dal “Social Science Research” : se i genitori sono omosessuali, i figli adolescenti pensano di più al suicidio, sono più spesso disoccupati e seguiti dall’assistenza pubblica. Lo studio ha avuto una serie di effetti collaterali: i detrattori hanno scritto che è fuorviante e scorretto, i benevoli che finalmente «riabilita la coppia etero». Già, perché ora, a quanto pare, è la coppia formata da padre e madre a dover essere riabilitata. Allora, dove sta la verità?