Il 9 maggio 1950 è una data storica per l’Unione Europea. In quel giorno, il ministro francese degli esteri Robert Schuman, sorprendendo il mondo, annunciò davanti alla stampa che il governo francese proponeva «di mettere l’insieme della produzione franco-tedesca di carbone e di acciaio sotto una comune Alta Autorità, nel quadro di un’organizzazione alla quale possono aderire gli altri Paesi europei». Vicino a Schuman sedeva l’ideatore di questa “bomba pacifica”, come titolò l’indomani il “Times”: Jean Monnet. La mattina di quel giorno Schuman aveva presentato il progetto al consiglio dei ministri, senza leggere il testo della dichiarazione, e ottennuto l’approvazione del gabinetto. Alle 18 leggeva la sua dichiarazione. «La pace mondiale non potrà essere salvaguardata se non con sforzi creativi, proporzionati ai pericoli che la minacciano. L’Europa non è stata fatta: abbiamo avuto la guerra». Il fine era alto, nobile, atteso dalle popolazioni di tutta Europa: difendere la pace. Per Schuman la pace era un imperativo categorico, non una strategia politica. Per lui, lussemburghese di nascita, originario della Lorena che, assieme all’Alsazia, in un secolo conobbe tre guerre con conseguenti annessioni al Reich, formatosi nella doppia cultura germanica e francese, ricercato dai nazisti, la pace era un disegno morale e spirituale prima che una scaltrezza diplomatica. Il suo desiderio di pace andava al di là dei tatticismi politici e degli stratagemmi militare. La pace è stata assicurata, in questi anni, nei paesi membri ed è stata garantita, dopo la caduta del muro di Berlino, ai paesi dell’est soggiogati dall’imperialismo sovietico. Ma la pace è messa in pericolo all’interno dell’Unione dal terrorismo e dall’avanzata, in alcuni paesi, delle forze nazionalistiche. Per realizzare politiche concrete i governi nazionali e le istituzioni europee sembrano ossessionati dal “far quadrare i bilanci”, sopraffatti da eccessive regolamentazioni, da un’economia di mercato non solidale e da una selvaggia finanza. La moneta unica, che doveva essere motivo di unione, è diventata causa di disgregazione. Ciò ha generato tentativi di egemonia di alcuni paesi sugli altri. La solidarietà è stata sostituita da esclusioni nazionalistiche, autoreferenziali, immemore che l’Europa sopravviverà se saprà ispirare dedizione e vi riuscirà solo dedicandosi ad altri più che a se stessa. Sono state innalzate frontiere che credevamo abbattute per sempre. I conflitti e l’aggressività prevalgono sul dialogo. Le relazioni tra stati sono divenute fragili, egoistiche, soprattutto è venuta meno quella forma di solidarietà che è l’accoglienza a coloro che fuggono da guerra e miseria. La sovranazionalità è divenuta una specie di “club economico”, in cui i soci si spartiscono i benefici a seconda delle quote di azioni; il federalismo degli stati si è trasformato in “federalismo degli esecutivi”; le stesse istituzioni europee sono frammentate al loro interno in gruppi nazionali di funzionari che, anziché badare al bene comune, ubbidiscono ai governi dei paesi di origine; al termine di ogni consiglio europeo non c’è una dichiarazione comune, ma in ventotto stanze separate ogni capo di Stato o di governo espone la propria versione sugli accordi raggiunti; lo stesso succede al Parlamento Europeo dove i deputati, di qualsiasi gruppo politico a cui appartengano, vengono convocati dai propri governanti nazionali che li incalzano perché salvaguardino gli interessi del proprio paese. L’unica istituzione veramente federale è la Banca Europea! Papa Francesco ha più volte richiamato il vigore morale dei padri fondatori dell’Europa Adenauer, De Gasperi e Schuman, a cui ispirarsi per rifondare l’Europa, che è alla ricerca non di leader, ma di modelli da seguire, non di idee, che possono al più unificare, ma di ideali che soli possono unire. Robert Schuman, il 9 maggio 1950, non previde l’avvenire dell’Europa, ma lo preparò. Spetta agli europei d’oggi attuare il suo insegnamento.
© RIPRODUZIONE RISERVATA Il 9 maggio 1950 Schuman annunciava lo storico accordo su carbone e acciaio con la Germania Così iniziò un processo oggi in stallo Robert Schuman