La notte dei cristalli
«Nel buio della sua cella Kaufmann scorse, infilato a metà sotto il pagliericcio, un piccolo oggetto... il cappellano aveva dimenticato la Bibbia. O, molto più probabilmente aveva fatto finta di dimenticarla. Era una Bibbia cristiana, non conforme ai canoni ebraici. Però, in quell’ultima notte, gli fu lo stesso di grande conforto».
Si chiude così il penultimo capitolo di Il caso Kaufmann (Rizzoli, pagine 382, euro 19), opera prima del giornalista e saggista Giovanni Grasso. L’ultimo capitolo, epilogo del romanzo e della vita di Leo Kaufmann, «ebreo pieno», racconta i drammatici istanti della sua esecuzione per ghigliottinamento nell’anno 1941, in un carcere della Germania nazista, in seguito a una «esemplare» sentenza di condanna per «inquinamento razziale», per giunta infondata.
La Bibbia nel pagliericcio l’ha nascosta padre Höfer, cappellano cattolico del carcere, che Leo fa chiamare, facendo intendere di volersi convertire. L’estemporaneo e commovente colloquio fra i due va a costituire uno dei capitoli più belli del libro. Un brano di grande fiction letteraria, all’interno di un romanzo storico, che apre uno squarcio di pura speranza in un gelido ed efficiente contesto di morte.
Il prete, che ha appena accompagnato a morire due giovani della Rosa Bianca, quantunque stupito per essere stato chiamato da un ebreo, riesce ad aprire un amorevole varco senza preconcetti e senza tempo nel cuore del condannato, vacillante nella fede, e nel suo stesso cuore: «Ne ho la certezza, lei domani sarà al cospetto del Signore e avrà la sua ricompensa, non ne dubiti». «Un tempo ci credevo, oggi non lo so, non lo so più... Piuttosto padre, come fa a dire che io sarò salvo se non mi sono nemmeno convertito? La dottrina della Chiesa...». «...Dia retta a me. Lei sarà salvo. La dottrina l’hanno scritta gli uomini pensando di interpretare il volere di Dio... A volte ci sono riusciti, a volte meno».
Speranza allo stato puro in una storia che fin dal principio lascia poco spazio alla luce, ambientata com’è nella Norimberga delle leggi razziali e della Notte dei Cristalli, dei bombardamenti alleati, delle delazioni e delle ignobili calunnie capaci di mandare a morte persone innocenti grazie a una macchina di repressione che mese dopo mese, anno dopo anno stringe sempre di più la morsa intorno agli ebrei privandoli progressivamente del lavoro, dei diritti civili, delle relazioni con gli 'ariani', dei risparmi, delle proprietà, della casa, dell’identità umana e, infine della vita.
Tutto comincia nel 1933 quando nella vita di Leo Kaufmann, vedovo di Martha e senza figli, sessantenne titolare di un’azienda commerciale, presidente della locale comunità ebraica, irrompe la poco più che ventenne Irene, 'ariana', figlia dell’amico d’infanzia Kurt Seidel, emigrato in provincia, che in una lettera gli ha chiesto di darle una mano perché intenzionata a vivere a Norimberga per studiare fotografia artistica. Irene è bella e disinibita. Viene da una delusione d’amore e presto vede nel gentiluomo ebreo un amico, un confidente e un modello di autenticità umana. Insomma, passa qualche mese e se ne infatua, divertendosi, senza esagerare, a provocare un Leo galante, ma deciso a conservare un onesto distacco. Intorno ruota la vita di Norimberga, città in cui gli ebrei, da integrati diventano progressivamente nemici. Leo ha una ventina di dipendenti, alcuni dei quali non ebrei. Tutti ne sono stati beneficati e gli portano rispetto, ma c’è chi cambia atteggiamento. Così come tanti abitanti del quartiere e del palazzo in cui Kaufmann ha l’ufficio e dove, in una mansarda di sua proprietà, abita anche Irene. Quando le maldicenze e gli infondati sospetti giungono alla macchina giudiziaria nazista e poi al 'Tribunale speciale' i due non hanno più scampo: lui viene condannato a morte, lei a quattro anni di lavori forzati nel corso di un processo kafkiano la cui 'assurdità' è raccontata e resa benissimo da Grasso.
Una storia vera, come tante di quegli anni. In questo libro diventa paradigmatica di un’epoca, capace di far immedesimare in quel dramma, mostrando come simili fatti possano sempre ripetersi nella banale normalità della loro genesi. Nella realtà Kaufmann si chiamava Lehmann Katzenberger e la ragazza Irene Seiler. Il giudice che li condannò, Oswald Rothaug, è stato condannato all’ergastolo per crimini contro l’umanità.