Il carrello scorre tra gli scaffali ricolmi, lo sguardo annoiato passa in rassegna barattoli e pacchetti colorati. Scene di una giornata qualunque, in un supermarket qualunque. Il frigo pieno, il piatto fumante la sera. Riavvolgiamo il nastro, fermiamoci un momento su quelle scansie e andiamo a curiosare in magazzino. In un angolo intere confezioni di frutta e verdura, insieme a pasta, carne e yogurt, aspettano il loro turno per finire nell’immondizia. Centinaia di alimenti, ancora commestibili, pronti per l’inceneritore. Perché? Un piccolo difetto nell’involucro, una data di scadenza troppo vicina, una mela ammaccata avvolta nel cellophane: ciò che disturba l’occhio sazio del consumatore deve scomparire dalle corsie. Ai prodotti indegni del carrello della spesa tocca la triste sorte di un carro della spazzatura. Un pugno nello stomaco, di fronte a milioni di persone denutrite in tutto il mondo.Qualcuno ha detto basta, si è rimboccato le maniche e ha provato a segnare un percorso diverso dallo sperpero insensato. C’è riuscito. La sfida di un professore, Andrea Segrè, e di un gruppo di studenti è raccontata in un saggio da poco nelle librerie,
Last Minute Market (Pendragon, pagine 118, euro 12). La formula è semplice: prelevare l’invenduto e donarlo a chi ha bisogno. Centri di accoglienza, comunità, parrocchie, famiglie. «Ogni prodotto recuperato è un rifiuto in meno per l’ambiente e un piatto caldo per chi non se lo può permettere» - riflette Andrea Segrè, ideatore del progetto e docente di Politica agraria all’Università di Bologna. «Risparmi e magari assumi personale». La favola di un’economia diversa, attenta alle risorse e all’ambiente, è una storia iniziata nel ’98 davanti a un cumulo di cassette accatastate in un ipermercato emiliano. Il professore ha iniziato a esaminare i meccanismi di lavoro portando a galla un dato curioso: un punto vendita di 6.500 mq, con un giro di due milioni di clienti, produce in un anno 150mila kg di merci invendute, per un valore di 570mila euro, a cui si aggiungono altri 50mila tra spese di trasporto, smaltimento e tasse sui rifiuti. La seconda sorpresa è scioccante: oltre due terzi del cibo risultava adatto al consumo, un terzo poteva essere utilizzato per gli animali e appena lo 0,17% appariva effettivamente irrecuperabile. Era il momento di passare all’azione e correggere gli squilibri di un’economia che - osserva l’autore - in Italia è capace di gettare nella spazzatura 4mila tonnellate di prodotti commestibili. Negli Usa la cifra raggiunge il 25% dei beni, nella sola Gran Bretagna il cibo buttato via arriva a un valore cinque volte superiore agli investimenti destinati dal governo in aiuti allo sviluppo.Insomma, era il momento di cominciare a incidere sullo spreco di massa, mettendo in contatto diretto chi produce le eccedenze e chi le può consumare. Studiando esperienze collaudate a livello internazionale - come le "Food Banks" - da Bologna la rete di "Last Minute Market" si è allargata su larga scala, dai supermercati alla panetterie sotto casa. Fino alla raccolta di tonnellate di frutta e verdura lasciate marcire sui terreni agricoli perché in eccesso rispetto alle esigenze del mercato. Si è passati poi ai cibi cotti delle mense scolastiche e ospedaliere per assicurarne la distribuzione rapida sulle tavole delle associazioni di beneficenza. L’esperienza si è estesa ad altri prodotti: vestiti, farmaci, giocattoli, libri. Grazie alla collaborazione con gli enti pubblici sono 42, ormai, i progetti attivati in varie città italiane, anche all’estero; centinaia le realtà coinvolte. Ora, in un punto vendita di 10mila metri quadrati, l’organizzazione di "Last Minute Market" è in grado di raccogliere 170 tonnellate di alimenti; 17 tir non prendono la strada della discarica; colazione, pranzo e cena per 400 persone ogni giorno. Nelle distorsioni del modello consumistico «la merce può perdere il suo significato commerciale per assumere un carattere sociale - incalza Segrè - e, attraverso il dono, acquista il valore di legame, di relazione».