Sul bianco di una pagina di libro mi è venuto di scrivere per dedica a un’amica: «Benvenuta nel secolo senza uomini». Sento di assistere e di partecipare anch’io a una decadenza del genere maschile, di vederlo vacillare davanti al femminile con sgomento fino alla furia di scagliarsi contro. Giovani donne vengono così ammazzate. L’arroganza virile era asfissiante nel sud della mia infanzia. Il rapporto di soggezione, il governo maschile, aveva un solo punto di cedimento: di fronte alla mamma napoletana, che aveva in dote per proverbio di poter bastare a cento figli. Questo sud cullato e incallito in rapporti di forza e prepotenza che sancivano l’assoluzione per l’omicidio d’onore, è stato sbaragliato. L’acquisto di una nuova dignità femminile è stato risentito come una perdita di prerogative anziché come una grandiosa liberazione di risorse. Il maschile, se respinto s’ingolfa di risentimento. Sente leso il suo diritto all’amore, questo potente contratto di alleanza, meraviglioso da stabilire, scorticante se rifiutato. Si tratta di amore e il maschile non lo sa più trattare. Nel libro sacro
Genesi/Bereshit, al momento dell’espulsione dal giardino, Eva riceve per condanna di provare una forte attrazione per l’uomo. Una «piena/
teshukà» è la parola impetuosa scelta dall’antico ebraico. La donna è provvidenzialmente soggetta a questa forza d’attrazione, senza la quale il genere umano non sussisterebbe. Il nostro maschile si trova oggi di fronte a una potente dignità femminile combinata con una nuova capacità di seduzione fisica, indotta da una società che costringe alla bellezza delle forme.Ma se la donna, più forte e più bella di prima non ci sta, non obbedisce alla condanna dell’attrazione e può reagire con nuovi diritti, ecco che il maschile vacilla, si sente perduto, intimamente deriso. Giovani donne vengono così ammazzate. La canzone napoletana, scritta da uomini, gronda di cuori strapazzati da donne spietate. L’uomo allora aveva la forza virile di cantare, di aggrapparsi a serenate per accendere finestre chiuse, forzare persiane. Era all’altezza della sua pena e della donna che si negava inespugnabile. L’uomo aveva accanto all’eterno coltello la chitarra, la musica, la voce e, al peggio della disperazione, la dignità di andarsene, emigrare anche. Oggi si leggono storie di furia esplose dentro l’impotenza, di maschi scatenati all’odio da un nuovo analfabetismo sentimentale, dallo sgomento di essere, di fronte a una donna desiderata, l’appendice del niente.