mercoledì 25 agosto 2010
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di Il sale sulle labbra screpolava il sorriso dei suoi uomini. Da un paio di giorni parevano imbambolati e felici. Ormai mancava poco. Si stava compiendo il ritorno, e il mare s’era messo buono, quasi volesse portarli più speditamente a Itaca. Le acque azzurre non sembravano celare segreti o incanti. Nessun dio oscuro pareva sommerso e impegnato a lanciare verso l’alto pensieri ondosi e naufragi. E le sirene erano svanite come dolcissimi delfini nella memoria. Ulisse guardava solo ogni tanto davanti alla prua. Sentiva l’aria bruciare di sale. Anche gli ordini impartiti ai suoi marinai erano più rilassati, meno asciutti. Erano in quel punto in cui la fatica, pur se immensa, sente fiorire in sé la menta saporita della trepidazione. L’arrivo era davvero vicino. Due giorni, uno…Incrociando gli sguardi dei suoi uomini, Ulisse sapeva leggere l’affollarsi di ricordi. Non se ne scambiavano. Ma negli occhi di uno scorgeva ancora le squame remote del terrore provato nella grotta di Polifemo. E nell’abbassar lo sguardo di un altro vedeva le ultime ombre che rimanevano della sosta tra i Feaci, quel gridìo di porci che a lungo aleggiò in loro e tra loro. E poi a lungo, durante il viaggio, aveva visto, seppure di sfuggita e subito celato dall’arte della simulazione che ogni uomo di mare beve con il latte materno e affina nelle prime soste nei porti, aveva visto anche il muto rimprovero di aver lasciato le coste dolci di Didone, la città degli amori non solo per il capitano, ma anche per loro, i suoi marinai, anche se meno nobili e tragici…Ormai il sole sfavillante del mare verso Itaca e l’azzurro che parlava di lidi conosciuti avevano attenuato quelle ombre e quei colori nascosti negli sguardi. A volte, addirittura, si guardavano quasi come ragazzi di ritorno da una breve avventura in un porto vicino. Erano meno di quanti erano partiti. Ma nessuno faceva i nomi dei perduti. Non si poteva fare, sarebbe stato come evocare spiriti contrari. In mare chi non torna va compianto ma non rimpianto. È nei patti con il mare e con gli dei. Rimpiangeranno le vedove e i figli. I compagni è come se avessero una cicatrice in più sul volto o sul petto, e anche se tutti la vedono, non se ne parla. A Itaca c’era Penelope. Itaca era Penelope. Due giorni ancora, capitano. Poi le sue mani, il suo viso amato tra le sue mani. E i capelli sul petto tra onde dolcissime, diverse, in un altro infinito andare. Lei lo sta aspettando. Lo ha sempre saputo. La avrebbe trovata nel vestibolo mentre riceve ospiti o cura gli affari della piccola proprietà ? O le serve quando lui si fosse fatto riconoscere sarebbero corse nelle stanze più interne della casa per avvertirla ? Stava accarezzando un piano. Di certo, il cuore di Penelope non era cambiato, ma forse l’isola e i suoi poteri sì. Chi sta assente per lungo tempo è da molti aspettato, ma molti iniziano a sperare che non torni. Per occupare il suo posto e i suoi averi. È della natura degli uomini questa occupazione. Ed è della natura di certe donne tenere il posto. Quello è il loro viaggio, nelle vene della terra e tra le stelle del cielo. Fissano il perno con il loro corpo, tra cielo e inferi. Penelope sarebbe stata là, filando, tessendo qualcosa per lui. Mentre intorno forse, qualcun altro tesseva inganni. Ma aveva un piano: del resto, l’ingannatore per eccellenza era lui. Ancora si parlava della sua idea del cavallo che incuneò con l’inganno a Troia gli Achei. E di inganno in inganno, ora tornava a casa.Il cielo era davvero brillante. Le onde si rompevano come risate d’argento. Le corde tenevano fendendo l’aria e schioccavano le vele. Il primo a vedere il naviglio fu il marinaio che a poppa lavorava a certe vecchie funi quasi inutilizzate. «Viene verso di noi!» Tendeva il braccio di fronte, oltre la prua. Nessuno, distrattamente, vista la chiarità della giornata stava guardando in direzione di Itaca. Era così facile ora tornare. Veniva da quella direzione e sembrava proprio diretto a loro. Era una piccola barca, ma veniva speditamente, segno che comunque doveva essere ben equipaggiata. Filava elegantemente. A poco meno di un chilometro, Ulisse e i marinai videro che a bordo c’erano alcune persone in piedi. Non aveva insegne da guerra. Ora la guardavano tutti in silenzio. Del loro arrivo nessuno sapeva sull’isola. Possibile che qualcuno li avesse avvistati a due giorni di distanza e venisse incontro per un specie di benvenuto? Il pensiero parve inverosimile a Ulisse, che però al sospetto ebbe un moto di orgoglio.Quando si avvicinò, notarono che sul naviglio alcuni uomini stavano in cerchio, e non erano vestiti come marinai. Non facevano segni verso di loro. Il circolo copriva qualcosa. O qualcuno. Ormai le due rotte si sarebbero incrociate, ancora poche decine di metri. E si sarebbero incrociati gli sguardi. I marinai si assiepavano con il comandante sul lato della nave che avrebbe guardato il piccolo naviglio. Le onde mandavano riflessi d’oro. Ulisse aveva fatto rallentare un poco. E anche lui strinse gli occhi per vedere quella misteriosa imbarcazione. Una mezza dozzina di uomini stava in circolo al centro della barca, nei pressi del pennone principale. Il legno non portava nomi né pitture, ma alcune corde colorate in porpora correvano lungo i fianchi, come se fosse una barca rituale. Gli uomini erano in vesti lunghe e bianche e non lanciarono che un’occhiata in direzione di Ulisse e della sua imbarcazione. Al centro, appena visibile in quella specie di protezione stava una figura velata. Forse una sacerdotessa, pensò Ulisse. «Una regina…» mormorò con la bocca impastata di vino e viaggi uno dei suoi marinai. Poi ci fu un movimento entro quel misterioso circolo di uomini naviganti. E la figura alzò il velo.Ulisse aprì la bocca come se volesse gridare. Ma non uscì un filo di voce, anche se i muscoli del collo si contrassero come tante volte i suoi marinai avevano visto fare. Gli occhi si riempirono di uno strano terrore mentre non un filo voce usciva da quell’uomo che boccheggiava con una smorfia, quasi gli mancasse il respiro. Chi gli era vicino, sentì che dal suo corpo vigoroso qualcosa se ne andava, fluendo dal petto, dalle gambe e dalle braccia che nel lungo viaggio avevano alzato armi, stretto con vigore, e domato uomini e venti. In modo fulmineo Ulisse divenne un vecchio.La figura che si intravide tra gli uomini in piedi era lei, Penelope. La riconobbe nel gesto stesso di alzare il velo dal viso. E poi il profilo netto, marcato e gentile, le sopracciglia belle, gli occhi grandi, le labbra sottili sotto il naso dritto ed elegante. Fu un attimo. La figura che aveva il volto della sua donna si volse un breve istante a guardare nella direzione della nave di Ulisse. Lui vide i suoi occhi scuri, neri come la notte senza stelle, tra le spalle e le teste dei suoi accompagnatori. Si posarono su di lui. Un attimo, e non ci fu nessuna espressione su quel viso di donna che lui conosceva come un sogno fatto mille volte. «Non può non avermi riconosciuto» fu il pensiero che si formulò da chissà dove nel suo cervello impietrito. È il medesimo pensiero che ancora ripeteva, dieci, vent’anni dopo, nelle peggiori bettole dei porti dell’Oriente. Quando attaccava a dire: «Non può non avermi riconosciuto» la voce diventava nasale, piagnucolosa, e molti degli astanti si alzavano e se ne andavano. Molti pensavano fosse un ladro, o un attore, uno che dalla Grecia era venuto a tentare fortuna con la recita di qualche tragedia. Ma questa storia del suo viaggio e della visione di lei che se ne va come una parola nel silenzio, no, nessuno la voleva sentire ripetere più.
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