Atlantic Avenue è una degradata arteria di Brooklyn che taglia negozi e palazzi sotto il cielo senza speranza del quartiere di Brownsville. Su quel marciapiede, che all’incrocio con Hopkinson Avenue passa per un attimo davanti al finestrino perdendosi poi nello specchietto retrovisore dell’auto, Mike Tyson ha tirato i suoi primi pugni. Accadde nel ’76, quando aveva dieci anni e un bulletto senza anima e senza cuore gli uccise sotto gli occhi uno dei suoi amatissimi piccioni. «Fu il giorno più terrificante della mia vita, quello in cui tirai fuori per la prima volta la rabbia selvaggia che avevo dentro» spiega l’ex campione, 44 anni, davanti alla telecamera de
Le ali di Tyson, lo speciale tv con cui prova (per l’ennesima volta) a riscattare una vita difficile, riscoprendo una passione dell’adolescenza che giura non averlo mai abbandonato. Anche se il racconto oggi s’è spostato tra i palazzi di Jersey City, dall’altra parte dell’Hudson, ad una quarantina di minuti d’auto dal marciapiede che ne ha fatto un boxeur. A raccontarlo è lui stesso, assieme a compagni di strada come l’allevatore di origini messinesi Vinnie Torre o l’amico di sempre Mario Costa, presentando le sei puntate del reality che Discovery Channel manda in onda dall’11 marzo, ogni venerdì alle 23, sui canali Sky 401, 402 e Hd. Anche se lui preferisce liquidarlo come un "mini-documentario" su quello che ha sempre rappresentato il suo rifugio, la fuga dalle storture di un mondo che in più di un’occasione ha finito per travolgerlo. «Non ci si può opporre alla volontà di Dio» ammette Iron Mike. «Dal destino ho avuto molto. Ma ho anche pagato molto. Per questo con la vita è pari e patta». La nascita un mese e mezzo fa dell’ottavo erede, la terribile perdita nel 2009 di Exodus, figlioletta di soli 4 anni rimasta soffocata dal tapis-roulant, sono solo gli episodi più recenti di una vita di alti e bassi, di gioia e disperazione, segnata dal titolo mondiale dei massimi a soli vent’anni, da 44 ko su 58 incontri disputati, ma anche dalla condanna per stupro del ’91, dalla disfatta del 2002 nel match con Lennox Lewis, dalla bancarotta del 2003, dalla dipendenza da cocaina, che hanno trasformato il granitico idolo del ring in un angelo bruciato alla continua ricerca di redenzione.
>Mike, come definirebbe «Le ali di Tyson»? Mi sembra un mini-documentario più che un vero e proprio reality.
Cosa l’ha spinta a tornare al suo primo amore, vale a dire i piccioni?La voglia di ritrovare un po’ delle mie speranze di ragazzo. Quando due anni fa ho perso mia figlia, mi sono reso conto che per gli altri figli dovevo cominciare a essere il padre che nella sua breve vita la mia piccola Exodus non ha avuto. Così, appena due settimane dopo il dramma, ho sposato la mia compagna Lakhia cercando nella famiglia un nuovo senso per la mia vita. Non ho mai cercato di capire cosa è andato storto nell’incidente che mi ha tolto la mia piccola, forse per paura di trovare un colpevole.
Cosa le ha insegnato la vita?A credere in Dio e a rispettare gli altri. Mi madre è cristiana, io musulmano, eppure sono sicuro che lassù ci attende lo stesso paradiso.
Cosa pensa dei tanti che le hanno voltato le spalle nel momento della difficoltà?Se vai all’inferno perché mai la gente dovrebbe seguirti? Delle scelte sbagliate incolpo solo me stesso.
Oggi ha delle precise regole di vita?Forse sì: capire gli sbagli, adattarmi alle situazioni, credere nelle cose fino in fondo, non mollare mai. Anche se sarebbe meglio che la gente non prendesse consigli da me, perché nella vita ho fatto tanti, troppi, sbagli.
Cosa vede riflesso nello specchio?Un ragazzo che sta cercando di rimettere a posto la sua esistenza pezzo dopo pezzo.
Di qua dall’oceano il wrestling ha ormai quasi più telespettatori della boxe. Lei lo guarda?Sì perché mi diverte. Ma quello è intrattenimento, la boxe è un’arte.
Si vocifera di un film sulla sua vita.Ne ho parlato con Jamie Lee Fox, uno dei candidati ad interpretare il mio ruolo. Penso che la sua sarebbe un’ottima scelta, ma non so se sarebbe un’ottima scelta girare un film sulla mia vita.
Restando in argomento, come giudica la sua prova di attore in «La notte da leoni» di Todd Phillips?Positiva. Tant’è che ho già girato il seguito, che deve ancora uscire nelle sale.
Perché ha deciso di vivere a Las Vegas?Perché sono in ristrettezze economiche. Altrimenti mi piacerebbe vivere in Italia: sulla Riviera Ligure o sull’Isola Ponza.
Tornerà alla boxe?A 44 anni mi considero fortunato se ogni giorno riesco ancora ad alzarmi senza mal di schiena. Figuriamoci se torno sul ring.