Sono fra le 200 e le 250 le emittenti locali che corrono il pericolo di non avere canali per andare in onda. A portare le «piccole» tv a un passo dal black-out è stata la decisione del governo – ratificata dal Parlamento con la Legge di stabilità 2011 e l’ultimo decreto «Omnibus» – di tagliare nove frequenze tv per destinarle alle compagnie telefoniche. Obiettivo dell’esecutivo: fare cassa e incamerare almeno 2,4 miliardi di euro dall’asta per la banda larga mobile. La virata del legislatore ha scompaginato le carte sul tavolo del digitale terrestre. Fino allo scorso dicembre tutte le emittenti che adesso trasmettono nell’affollato etere italiano dovevano approdare alla nuova tecnologia e mantenere la loro rete di trasmissione. Dopo il cambio di rotta, tutto è stato rimesso in discussione. Anche perché il governo ha stabilito che le frequenze siano tolte soltanto alle «piccole» emittenti e non ai network nazionali che, anzi, si vedranno regalare altri sei canali senza alcun onere. La scelta di sacrificare le locali è stata respinta con forza dalle associazioni di categoria (Aeranti-Corallo e Frt) che hanno lanciato l’allarme contro la riduzione del pluralismo informativo. Secondo la nuova normativa, i ripetitori che irradiano sulle nove frequenze dovranno essere spenti entro l’inverno 2012. Nelle regioni dove è già avvenuto il passaggio al digitale, le «piccole» dovranno restituire gli spazi occupati. Nelle regioni in cui lo switch-off è in calendario nei prossimi mesi, quei canali non verranno assegnati. Le graduatorie dei «sommersi» e dei «salvati» saranno stilate in base a bandi regionali elaborati dal Ministero dello sviluppo economico: i primi usciranno in questi giorni. Quattro i parametri: il patrimonio netto di una tv, i dipendenti a tempo indeterminato, l’area coperta dal segnale e la longevità. Criteri che penalizzano soprattutto le tv provinciali e comunitarie, come quelle d’ispirazione cattolica che sono fondate sul volontariato e che chiudono a fatica i bilanci. Se si perderanno i canali, andranno in fumo anche gli investimenti fatti per rinnovare i sistemi di trasmissione. A poco valgono – almeno secondo le tv locali – gli indennizzi previsti dalla legge. Sono considerati troppo esigui. E non coprono le spese sostenute per il passaggio al digitale, né rispecchiano il reale valore di mercato delle frequenze.