"La cambiale di matrimonio" di Rossini alla Royal Opera House di Muscat (Oman) - foto di Khalid Al-Busaidi - ROHM
Quando il burbero e imparruccato mercante inglese Tobia Mill si scontra con la simpatica cafonaggine dell’americano arricchito mister Slook, accompagnato da un pellerossa e un orso nel suo viaggio in Europa per prender moglie, il pubblico in sala ride di gusto. Il resto lo fa la pimpante musica di Rossini, che insegue le bizze di un matrimonio combinato a cui la bella Fanny non ha intenzione di sottostare per decidere chi amare liberamente. Un inno alla libertà delle donne e una critica al vecchio patriarcato è sottesa al sorriso ironico del pesarese ne La cambiale di matrimonio che ha entusiasmato fra applausi, risate e sonori “bravo” il pubblico della Royal Opera House di Muscat, capitale dell’Oman. L’opera è stata coprodotta dal teatro omanita con il Rossini Opera Festival di Pesaro con cui ha instaurato da anni una proficua collaborazione (ben 14 le opere portate sinora in Oman dal Rof ) che prevede l’esecuzione di cinque opere buffe rossiniane in cinque anni. Apprezzati alla guida dell’Orchestra Sinfonica G. Rossini di Pesaro il giovane e lanciatissimo direttore d’orchestra, il 27enne Alessandro Bonato, il regista Laurence Dale e un cast brillante capeggiato da Alfonso Antoniozzi, il miglior baritono buffo italiano.
Un debutto assoluto di questa versione filologica dell’opera giovedì scorso in questo gioiello dell’architettura omanita, tutto legno di tek intarsiato e marmi pregiati, dall’acustica perfetta e dalla tecnologia avanzata, fiore all’occhiello della bianca città incastonata fra il mare blu del Mare Arabico e le magnifiche montagne del deserto alle spalle. A colpire è l’entusiasmo di un pubblico proveniente da tutto il mondo (molti sono gli stranieri che lavorano qui), oltre a molti omaniti e un 21% in arrivo dai Paesi arabi del Golfo (Arabia Saudita, Quwait, Qatar), culturalmente lontani dalla musica classica occidentale. Sfilano nel prezioso foyer uomini in dishdasha, il tradizionale abito bianco, che si fanno i selfie, giovani donne elegantissime nelle loro lunghe tuniche nere, diplomatici europei incravattati, rosee signore anglosassoni. Successo bissato anche la sera successiva per L’omaggio al cigno di Pesaro con l’Orchestra sinfonica G. Rossini diretta brillantemente da Nikolas Nagele.
La Royal Opera House, fiore all'occhiello di Muscat (Oman) - foto di Khalid Al-Busaidi - ROHM
Si tocca con mano qui, confinanti con lo Yemen affamato da una guerra endemica e affacciati di fronte all’Iran in subbuglio, il sogno di dialogo e pace attraverso la diplomazia culturale iniziato da sua maestà Qabus bin Said, il sultano asceso al potere nel 1970 e scomparso due anni fa dopo 50 anni di regno. La tranquilla città di Muscat, dove agli opulenti supergrattacieli dei vicini Emirati si preferisce uno stile sobrio e tradizionale, è ancora tutta illuminata a festa per i recenti festeggiamenti di “52 anni di serenità e prosperità” come recita lo slogan del sultanato. Accanto ai ritratti del nuovo sultano Haitham ben Tarek, salito al trono due anni fa, si affiancano quelli dello scomparso padre del nuovo Oman, capace di fare di una nazione povera e arretrata un Paese ricco e accogliente e un interlocutore chiave del Medio Oriente, grazie anche a un massiccio investimento sull’istruzione e il turismo. Qui il moderato islam ibadita ha preso le distanze da ogni forma di integralismo. E perfino i terreni per la parrocchia dei Santi Pietro e Paolo di Muscat sono stati donati dal vecchio sultano alla piccola ma vivace comunità cattolica omanita.
Fu lui, appassionato dei Beatles e dell’opera lirica, musicista a sua volta, a volere 11 anni fa la costruzione della Royal Opera House di Muscat per farne la principale istituzione culturale dell’Oman, un luogo di educazione e un punto di contatto fra Est e Ovest grazie al meglio delle arti performative mondiali, dalla danza al jazz, dal musical alla musica tradizionale araba sino all’opera e alla grande musica sinfonica. Soprattutto italiana. Da 14 anni il direttore generale Umberto Fanni, già direttore artistico della Fondazione Arena di Verona, ha delineato i contenuti della Royal Opera House di Muscat, e ora sta lavorando a uno sviluppo ancora più integrato fra le diverse culture. In accordo con una strategia a lungo termine, promossa dal governo guidato dal nuovo sultano, cugino del precedente e già ministro della cultura, che continua una politica lungimirante che pensa ad alternative economiche al petrolio, orientando gli investimenti nei settori della cultura e del turismo, consapevole che la convivenza pacifica è un altro dei cardini dello sviluppo.
Tutto ciò nonostante le difficoltà dell’ultimo biennio, come ci conferma il direttore Fanni, mentre ci guida a scoprire la preziosa collezione del museo degli strumenti, la ricca biblioteca musicale aperta a tutti (offre pure gratuitamente uno studio di registrazione) e una imperdibile mostra interattiva e immersiva che spiega con chiarezza, grazie alla tecnologia, il mondo del suono per dimostrare «che la musica ci rende tutti uguali». Oltre ai due teatri da 1100 e 500 posti collegati da un ponte sonoro «che simboleggia il ruolo della cultura come ponte fra i popoli» aggiunge il direttore. Teatri in cui son passate le più grandi star mondiali, a partire da Zeffirelli che inaugurò nel 2011 la Royal Opera House con Turandot, e che vedrà il 15 dicembre il gala di “Roberto Bolle and friends”. In gennaio arriverà l’Elisir d’amore di Donizetti dal Teatro Lirico di Cagliari e poi Le nozze di Figaro di Mozart con la storica regia di Giorgio Strehler con l’Accademia del Teatro alla Scala.
«Dapprima abbiamo puntato sul melodramma italiano. Abbiamo portato qui quasi tutte le fondazioni lirico sinfoniche italiane oltre ai più grandi ensemble, direttori e cantanti del mondo» aggiunge Fanni. Che però ammette: «Abbiamo avuto una serie di sventure dal 2020. Innanzitutto la scomparsa del sultano Qabus bin Said, la pandemia, il crollo del prezzo del petrolio che ha abbassato il potere d’acquisto degli omaniti e persino un’invasione di cavallette. Ma il Paese si è ripreso in modo eccellente e il nuovo sultano sta puntando su un piano economico pluridecennale, la cosiddetta Oman Vision 2040, che propone strategie per la gestione del petrolio, l’investimento sulle nuove tecnologie, il turismo in vista della creazione di posti di lavoro per le nuove generazioni». Sull’educazione alla cultura musicale è stato fatto un lavoro intenso partendo da zero: «Abbiamo iniziato a coinvolgere gli studenti sin dalle elementari con una partecipazione interattiva attraverso opere ridotte e creando un piccolo coro di bambini. Abbiamo poi coinvolto gli studenti universitari in dibattiti sulle opere liriche e prima di ogni esibizione ci sono incontri col pubblico per approfondire l’opera» spiega il direttore. Mentre in Qatar, a un’ora e mezzo di volo da qui, si svolgono i Mondiali di calcio, in Oman c‘è chi decide di passare le sue serate all’Opera.
Concerto del Rof presso la biblioteca della Royal Opera House di Muscat (Oman) - foto di Khalid Al-Busaidi - ROHM
«Certo, la crisi economica ha pesato sul teatro omanita, nonostante una politica popolare dei prezzi dei biglietti che vanno da 5 a 150 euro» aggiunge Fanni. A Dubai o in Arabia Saudita stanno nascendo contenitori sfolgoranti dove le arti performative sono sempre più legate a iperboliche performance tecnologiche, snobbando la lirica. L’Oman punta invece a diventare un hub mondiale della qualità musicale e teatrale, non solo ospitando ma producendo contenuti originali. Ed ecco la Royal Opera House Vision: «Vogliamo trasformarla da centro per le arti performative a teatro di produzione – aggiunge Fanni -. E poi ribadire ancora di più il ruolo della Royal Opera House come porta culturale tra l’Ovest me l’Est, aprendosi al mondo arabo e all’Oriente. Per esempio svilupperemo la cultura locale mettendo in musica per la prima volta testi arabi straordinari ». L’obiettivo è creare nuove professionalità locali e nuovi posti di lavoro per gli omaniti grazie a un futuro campus sui mestieri del teatro, dalla formazione degli artisti e dei tecnici agli esperti di amministrazione. In un paese desertico grande quanto l’Italia, in cui vivono 4 milioni e mezzo di persone, è iniziata quindi la sfida per un futuro più sostenibile.