È impossibile vivere un’esistenza normale se di cognome fai Himmler, Göring, Hess, Mengele. I figli dei gerarchi nazisti sono stati anch’essi vittime della Storia, condannati a esistenze tragiche, sempre in bilico tra depressioni e idee di suicidio, oppure ostinatamente impegnati a cercare di riabilitare il fardello che pesava sui loro nomi. Nati tra il 1927 e il 1944, molti di loro hanno scoperto la verità sui loro genitori solo dopo la guerra. Da allora sono stati emarginati a lungo, se non addirittura perseguitati, comunque costretti a confrontarsi con le colpe dei padri. In un bel saggio appena uscito in Francia (
Enfants de Nazis, edizioni Grasset), Tania Crasnianski ricostruisce nel dettaglio otto storie esemplari. Tra i figli dei gerarchi c’è stato addirittura chi, non riuscendo a fare i conti con un passato troppo pesante, ne ha addirittura conservato e rafforzato i legami. È il caso di Gudrun Himmler: suo padre fu il capo delle SS e l’organizzatore della Shoah, lei ha consacrato la vita alla riabilitazione della sua figura ed è stata per anni alla guida di Stille Hilfe, organizzazione che ha fornito aiuti agli ex membri del regime. Qualcosa di simile ha fatto Edda Göring, figlia del numero due del Reich, che ha sempre mostrato grande rispetto per il padre senza rinnegare niente del suo passato. Più forte è stato il legame, più è stato difficile respingere la tragica eredità. In alcuni casi questa doveva tramutarsi in cieca accettazione del loro operato. Rudolf Höss, comandante del campo di sterminio di Auschwitz e morto impiccato nel 1947, fu un padre esemplare e sua figlia, la modella e stilista Brigitte Höss, ha cercato a lungo di rimensionare il ruolo del padre nello sterminio. Suo fratello Wolf-Rüdiger, dopo aver visitato il padre in carcere a Spandau oltre un centinaio di volte, ne ha sostenuto l’innocenza fino a diventare uno dei più accaniti negazionisti dell’Olocausto. Ad Auschwitz operò anche Josef Mengele. Dopo la guerra sfuggì al processo di Norimberga e riparò in Sudamerica, dove morì da uomo libero. Suo figlio Rolf, nato nel 1944 e vicino alla sinistra radicale, si fece cambiare il cognome e incontrò il padre in segreto in Brasile, per cercare di capire cosa l’aveva spinto a compiere quelle mostruosità. Non ottenne risposta ma si rifiutò di fornire alcuna indicazione che potesse portare al suo arresto. Ma c’è anche chi ha cercato in tutti i modi di condannare l’operato dei genitori. Niklas Frank, figlio di Hans Frank, governatore nazista della Polonia processato e mandato a morte nel 1946 per aver fatto uccidere oltre tre milioni e mezzo di polacchi ed ebrei, ha dedicato la sua vita alla pubblicazione di libri e articoli contro di lui. Fino a Martin Adolf Bormann, figlio del luogotenente di Hitler, che ha cercato infine di espiarne le colpe. Subito dopo la morte di suo padre – uno dei più acerrimi nemici delle Chiese cristiane, e arrivò a chiedere l’impiccagione del vescovo Von Galen – ha scelto la strada della fede, facendosi prete e trascorrendo lunghi anni in Africa come missionario.
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