lunedì 24 ottobre 2011
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​Se pensate che il nuovo film di Steven Spielberg, Le avventure di Tintin – Il segreto dell’unicorno, sia la realizzazione di un sogno infantile, siete fuori strada. Fino a trent’anni fa il regista di E.T era tra quelli che confondevano la creatura nata dalla fantasia di Hergé con Rin Tin Tin. Ma poiché i francesi si ostinavano a scrivere che il suo Indiana Jones era una sorta di fratello maggiore del reporter con il ciuffo, Spielberg si immerse nella lettura degli albi a fumetti del cartoonist belga fino a innamorarsene. La collaborazione con Peter Jackson (qui produttore, ma regista della prossima avventura), che invece Tintin lo ha amato sin da bambino, ha fatto sì che il fumetto di culto arrivasse sul grande schermo, in 3D e con la tecnica della "motion capture" che ha trasformato in cartoon attori in carne ed ossa, tra cui Jamie Bell, Daniel Craig, Andy Serkis. Spielberg ha presentato il film ieri a Bruxelles (ricevendo anche l’onorificenza di Comandante dell’Ordine della Corona belga), in occasione dell’anteprima mondiale della pellicola che approderà venerdì al Festival di Roma e nelle sale distribuito da Warner.Qual è stata, Spielberg, la sfida più impegnativa nella realizzazione del suo Tintin?La sceneggiatura, direi. Abbiamo lavorato su tre libri, Il granchio d’oro, Il segreto dell’Unicorno e Il tesoro di Rackman il Rosso <+tondo>ed era molto importante che il film avesse lo stesso tasso di avventura. La fedeltà all’originale era fuori discussione. E poi dovevamo stare attenti a non cadere nell’umorismo contemporaneo, quindi siamo rimasti vicini alle gag col linguaggio del corpo, tipico del cinema muto.Per la prima volta nella sua lunga carriera ha utilizzato la tecnica della motion capture. Com’è andata?È l’unica tecnica possibile per rimanere fedeli al cuore delle storie dell’autore. L’idea di cercare attori che assomigliassero ai personaggi mi sembrava farsesca, quindi non restava che trasformare gli attori nei personaggi. Siamo partiti dove si è fermato Cameron con Avatar. Gli interpreti indossano tute con sensori capaci di catturare ogni loro movimento, persino quello della loro anima. Com’è cambiato il suo modo di lavorare?Non è cambiato affatto! Ero nello stesso spazio occupato dagli attori e li ho diretti come al solito stando dietro la macchina da presa, scegliendo prima le inquadrature. La differenza è che non esiste una scenografia, ci si muove in uno spazio vuoto con qualche scala o piattaforma mobile per facilitare i movimenti. Ma nel mio visore gli interpreti erano già cartoon, immersi in tempo reale nell’universo grafico tridimensionale di Hergé. D’altra parte sarebbe assurdo per me starmene seduto sugli allori e non esplorare nuovi linguaggi. Contrariamente a McLuhan penso che non il medium, ma la storia sia il messaggio. Le avventure di Tintin saranno molto simile ai film che realizzavo negli anni Ottanta.Hergé è una figura molto controversa, alcuni dei suoi albi sono accusati di razzismo e antisemitismo...Non bisogna commettere l’errore di giudicare quelle storie al di fuori del contesto in cui sono state scritte. A me interessavano gli elementi più classici delle avventure di Tintin e la sua grande amicizia con il Capitano Haddock.Non sparirà per altri tre anni, vero?A febbraio arriverà un mio nuovo film di guerra realizzato con tecnica tradizionale, War Horse, poi vedrete lo storico Lincoln e il fantascientifico Robocalypse. In questi tre anni ho lavorato molto come produttore e poi sapete, sono padre di ben sette figli, e alcuni di loro hanno ancora molto bisogno di me.
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