Carlo Conti: «Perderemo un patrimonio Io e Pieraccioni siamo nati l컫Quello delle televisioni locali è un mondo fantastico che è stato fondamentale per la formazione di molti di noi. Perderlo significherebbe perdere un vero e proprio patrimonio». A parlare è Carlo Conti, volto simbolo di Raiuno, che, ben prima di successi come L’eredità o I migliori anni, "vanta" un inizio di carriera a Tele Centro Toscana.Che cosa ricorda di quell’esperienza e quanto è stata importante per la sua carriera?«E non solo per la mia. Eravamo Leonardo Pieraccioni ed io. Facemmo un programma che si chiamava Succo d’arancia. Dopo vennero Vernice fresca e Aria fresca. Esperienze importanti, una palestra per molti che volevano fare il nostro mestiere».Perché una palestra?Per due motivi. Primo: perché, senza l’ossessione degli indici di ascolto, eravamo liberi di sperimentare. Non a caso, in quelle realtà locali sono nati artisti che sarebbero diventati famosi. Tanti comici come ad esempio, uscendo dalla "mia" Toscana, Toti e Tata cresciuti su Telenorba. Oppure i tanti telecronisti sportivi che si sono fatti le ossa negli innumerevoli "Bar Sport" che popolano le piccole televisioni. Qualcuno, forse, un po’ becero ma, sicuramente, specchio fedele di certe realtà cittadine.Il secondo motivo?La fantasia. Se non hai soldi e grandi mezzi tecnici, non ti rimane che usare la fantasia. Ai tempi di Succo d’arancia, Pieraccioni ed io non avevamo nemmeno una scenografia: ci inventammo che volevamo fare un programma dietro le quinte di una trasmissione che andava in onda in orari diversi. Non facemmo altro che girare i pannelli di quella scenografia che non era nostra. In quegli anni mi sono davvero inventato di tutto. Per salvare le televisioni locale si parla, tra l’altro, della possibilità di consorzi tra più emittenti, magari a livello regionale.Forse potrebbe essere una soluzione anche se la dimensione regionale mi sembra già troppo grande. Quando ho iniziato a fare questo mestiere, in Toscana c’era quasi una televisione per ogni città: Firenze, Pisa, Livorno. E il fascino stava proprio nella loro possibilità di raccontare la tua città, quello che era successo al tuo vicino di casa o cosa faceva la tua squadra di calcio. Senza contare che tutte le esperienze fatte in passato di network o syndication non hanno ottenuto grandi risultati perché hanno finito per scimmiottare inutilmente le grandi televisioni alle quali invece, fino a quel momento, avevano rappresentato un’alternativa.Dunque?Dunque spero che, con i tanti canali messi a disposizione dal digitale terrestre, si riesca a trovare una soluzione che concili le esigenze industriali con quelle, diciamo così, locali. E che, soprattutto, salvaguardi l’identità delle tante piccole televisioni che rappresentano voci locali che sarebbe gravissimo non poter più ascoltare.
Carlo Conti: «Perderemo un patrimonio Io e Pieraccioni siamo nati l컫Quello delle televisioni locali è un mondo fantastico che è stato fondamentale per la formazione di molti di noi. Perderlo significherebbe perdere un vero e proprio patrimonio». A parlare è Carlo Conti, volto simbolo di Raiuno, che, ben prima di successi come L’eredità o I migliori anni, "vanta" un inizio di carriera a Tele Centro Toscana.Che cosa ricorda di quell’esperienza e quanto è stata importante per la sua carriera?«E non solo per la mia. Eravamo Leonardo Pieraccioni ed io. Facemmo un programma che si chiamava Succo d’arancia. Dopo vennero Vernice fresca e Aria fresca. Esperienze importanti, una palestra per molti che volevano fare il nostro mestiere».Perché una palestra?Per due motivi. Primo: perché, senza l’ossessione degli indici di ascolto, eravamo liberi di sperimentare. Non a caso, in quelle realtà locali sono nati artisti che sarebbero diventati famosi. Tanti comici come ad esempio, uscendo dalla "mia" Toscana, Toti e Tata cresciuti su Telenorba. Oppure i tanti telecronisti sportivi che si sono fatti le ossa negli innumerevoli "Bar Sport" che popolano le piccole televisioni. Qualcuno, forse, un po’ becero ma, sicuramente, specchio fedele di certe realtà cittadine.Il secondo motivo?La fantasia. Se non hai soldi e grandi mezzi tecnici, non ti rimane che usare la fantasia. Ai tempi di Succo d’arancia, Pieraccioni ed io non avevamo nemmeno una scenografia: ci inventammo che volevamo fare un programma dietro le quinte di una trasmissione che andava in onda in orari diversi. Non facemmo altro che girare i pannelli di quella scenografia che non era nostra. In quegli anni mi sono davvero inventato di tutto. Per salvare le televisioni locale si parla, tra l’altro, della possibilità di consorzi tra più emittenti, magari a livello regionale.Forse potrebbe essere una soluzione anche se la dimensione regionale mi sembra già troppo grande. Quando ho iniziato a fare questo mestiere, in Toscana c’era quasi una televisione per ogni città: Firenze, Pisa, Livorno. E il fascino stava proprio nella loro possibilità di raccontare la tua città, quello che era successo al tuo vicino di casa o cosa faceva la tua squadra di calcio. Senza contare che tutte le esperienze fatte in passato di network o syndication non hanno ottenuto grandi risultati perché hanno finito per scimmiottare inutilmente le grandi televisioni alle quali invece, fino a quel momento, avevano rappresentato un’alternativa.Dunque?Dunque spero che, con i tanti canali messi a disposizione dal digitale terrestre, si riesca a trovare una soluzione che concili le esigenze industriali con quelle, diciamo così, locali. E che, soprattutto, salvaguardi l’identità delle tante piccole televisioni che rappresentano voci locali che sarebbe gravissimo non poter più ascoltare.
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