I veri nemici di internet sono i troll. Che non sono soltanto quei mostriciattoli nordici che albergano in certe favole fantasy (bassi, grassocci e coi capelli ispidi). Ma anche – e soprattutto – delle pericolose "creature" che popolano la rete telematica, usando la pesca a strascico (
trolling) per far abboccare quante più persone possibili ai loro ami avvelenati. L’obiettivo dei troll è infatti «provocare, causare il collasso di una
community o semplicemente mettere a dura prova il buonsenso comune».Un fenomeno che, secondo gli esperti, è nato alla fine degli anni ‘80 sui forum di discussione. Se allora, però, i troll si "limitavano" a far arrabbiare gli utenti di un certo gruppo di discussione mandando in tilt i loro discorsi con frasi e domande provocatorie, da qualche tempo sono diventati molto più pericolosi. Sono loro infatti ad avere creato scompiglio in certi gruppi di discussione dedicati a padre Pio, riempiendoli di insulti, bestemmie e frasi sconnesse. E sono sempre loro spesso a nascondersi dietro gli autori di gruppi choc creati su Facebook, come quello intitolato «Giochiamo al tiro al bersaglio con i bambini down», che ha provocato ondate di sdegno e decine di articoli indignati su tutti i giornali. Attenzione però: ogni volta che un utente si indigna per un gruppo choc su Facebook e ogni volta che un giornale o un politico ne chiede la chiusura, i troll gongolano perché significa che hanno centrato l’obiettivo. Che per loro è (lo ricordiamo) «creare scompiglio, provocare, mettere a dura prova il senso comune». «Senza la complicità dei media – ha scritto lo studioso Timothy Campbell – i troll avrebbero vita molto più dura. Senza contare coloro che usano il fenomeno del
trolling a fini, diciamo così, benefici». Un esempio? Se un gruppo di troll buoni ritiene che da qualche tempo la società civile sta sottovalutando il fenomeno mafioso, aprirà un gruppo su Facebook inneggiante (magari) a Toto Riina, così da provocare la reazione indignata della società (utenti, giornalisti, politici). In questo modo, grazie ad una provocazione «inaccettabile» (l’inneggiare a Totò Riina) i troll ci spingono a rimettere al centro del dibattito pubblico il tema della mafia e dell’antimafia. Una tecnica "all’incontrario" (uso il male per fare del bene) che rende le cose ancora più complicate. E la verità su internet è ancora più difficile da individuare. Alla lunga, infatti, i troll rischiano di doversi spingere su terreni sempre più provocatori e quindi al limite della legalità e del buonsenso, ma soprattutto col loro agire rischiano di confondere sempre di più le idee del pubblico (e dei media) che non saranno più in grado di discernere il bene dal male; le campagne buone da quelle semplicemente demenziali se non addirittura criminali. Torniamo per un attimo a Campbell e alla sua frase: «Senza la complicità dei media i troll avrebbero vita molto più dura». E qui si apre un altro capitolo. I media – bisogna ammetterlo – da sempre vivono internet e tutte le nuove tecnologie "a ondate". Nella fase
Second life, qualunque scemenza approdasse in quel sito otteneva il suo bell’articolo. Da un po’ di tempo c’è la
Facebook-mania. Col paradosso che magari se 40 persone scrivono a un giornale per lamentarsi di un problema, non vengono prese in considerazione; ma se aprono un gruppo su Facebook per denunciare lo stesso problema, agenzie di stampa e quotidiani si occupano di loro e della loro protesta. Così, confondendo in un sol colpo mezzo e contenuto, si finisce spesso per parlare sui giornali dei fenomeni web più superficiali, chiudendo gli occhi su realtà ben più preoccupanti. Saremo ancor più brutali: a furia di abboccare ai troll stiamo perdendo di vista i veri problemi di internet. Discutiamo e ci indigniamo, ma "a comando". Forse l’unico modo che ci resta per liberarci dai troll (oltre alla tecnologia e al lavoro dei gestori dei siti, dei
provider e della polizia postale) è ripartire dal buon senso. Da quel buon senso che – scusate la banalità dell’esempio – non ci fa correre dal gestore di un autogrill se troviamo nei bagni di un area di servizio una scritta ingiuriosa contro questo o quell’altro, ma ci spinge a scuotere la testa sconsolati davanti a una tale prova di imbecillità. Eppure se quella scritta appare su un sito web o in un gruppo di Facebook, ecco che come tanti cuccioli pavloviani scattiamo in piedi inorriditi e ci indigniamo, chiedendo a gran voce di censurare la rete. E così facendo finiamo inevitabilmente per amplificare il gesto demente di un troll, facendolo gongolare come se avesse fatto 13 al totocalcio (visto che più si parla di lui e più il troll è contento). Certo, la vicenda è tutt’altro che semplice. E meriterebbe indagini approfondite, caso per caso. Ma forse è venuto il momento, di fronte a certi fenomeni, di usare meno l’emotività. Ricordate? «Senza la complicità dei media i troll avrebbero vita molto più dura».