sabato 8 ottobre 2016
Il cardinale Tagle si racconta in un libro intervista
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Arcivescovo metropolita di Manila, 'Padre Chito', come lo chiamano i ragazzi, o – diciamolo noi con più rispetto formale – sua eminenza il cardinale Luis Antonio Gokim Tagle (Gokim è il cognome di sua madre, di origini cinesi), è uno dei porporati più giovani e una delle voci più rappresentative dell’ episcopato del-l’Asia, terra che – gli ha ripetuto papa Francesco – «è il futuro della Chiesa». Classe 1957, sino al 2013 Tagle era noto in Italia solo quasi tra teologi e vaticanisti: in particolare per aver fatto parte della Commissione Teologica Internazionale (dal 1997 al 2003); per la nomina come esperto al Sinodo sull’Asia (nel 1998); quindi per aver partecipato ai Sinodi sull’eucaristia (nel 2005), sulla parola di Dio (nel 2008), sulla nuova evangelizzazione (nel 2012), venendo poi sempre eletto nei successivi Consigli post-sinodali. Durante il conclave del 2013, ecco invece il suo nome e il suo volto finire a più riprese sui giornali e sul piccolo schermo, nonché in quei new media che gli sono familiari, ritenuto come outsider fra i papabili. Così il suo profilo via via comincia ad essere conosciuto non solo per l’età o la provenienza dalle cattolicissime Filippine, ma anche per la preparazione intellettuale e la passione pastorale attenta a quei poveri, malati, diseredati, senza tetto... «scuola» del suo sacerdozio. E allora chi è questo cardinale apprezzato da Giovanni Paolo II e da Benedetto XVI (il quale per il suo volto da eterno ragazzino una volta, scherzando, gli chiese se avesse fatto la prima comunione)? Chi è questo porporato ritenuto fra i membri del Sacro Collegio più vicini allo stile di papa Bergoglio, suo estimatore ai tempi di Buenos Aires (quando gli scriveva lettere rimaste senza risposta) e che gli ha affidato la presidenza di Caritas internationalis e della Federazione biblica cattolica?A cosa deve la sua credibilità e il suo carisma? Da dove viene e dove approda la sua visione cristocentrica in cui la resurrezione di Gesù ha un marcato valore sociale, costituendo una memoria scomoda, quella della potente giustizia di Dio, speranza per le vittime e minaccia per i carnefici? E ancora, in Oriente come in Occidente, cosa può dirci la figura di un vescovo come lui, non solo tra il Libro e il Calice, ma pure mischiato alla folla, anche in marcia, icona dunque di una Chiesa che sta dalla parte del popolo, ne chiede il rispetto dei diritti, come avvenne con la 'rivoluzione dei rosari' che spazzò via Marcos a metà Anni’ 80, impossibile senza il contributo della Chiesa? Risponde a queste e molte altre domande il libro di Gerolamo e Lorenzo Fazzini Ho imparato dagli ultimi (Emi, pp. 160, euro 15,00; in libreria da lunedì), frutto di una decina di incontri con Tagle tra l’Italia e le Filippine, qui ricordati dai due autori come occasioni di colloqui in grande cordialità. Nelle pagine il cardinale, incalzato dalle domande,racconta di sé palesando la sua visione del mondo e della fede. A ben guardare parole specchio di testimonianze di vita. Insomma quasi un’autobiografia che, attraverso il ritratto di un uomo di Chiesa, traccia possibili fronti per un’autentica presenza cristiana nel nostro tempo, per una proclamazione del Vangelo nel dialogo, prima ancora nell’ascolto, in ogni caso dentro relazioni umane vissute in modo profondo, premessa di cambiamenti culturali, economici, sociali. Un’autobiografia ricomposta, tassello su tassello, come in un ampio mosaico. Dal racconto quasi didattico delle origini nell’affresco di una storia familiare (non senza il segno di influenze cinesi) a quello dell’infanzia e dell’adolescenza a Imus; dai ricordi dei nonni e dei genitori capaci di infondergli «uno spirito di dedizione», d’insegnargli «a lavorare sodo» oltre che, beninteso la fede e valori come «l’amore per la famiglia e la Chiesa», a quelli sui banchi di scuola dai Missionari di Scheut, originari del Belgio, con il loro stile sobrio «utile per capire il significato del custodire»; dalla rievocazione dell’itinerario vocazionale con l’intervento di un prete di periferia (padre Redentor Corpuz) all’ammissione «con riserva» in seminario (Tagle inizialmente sognava di diventare medico); dall’ordinazione nel 1982 e ai successivi compiti educativi in seminario (prima padre spirituale, poi rettore a 25 anni); dall’esperienza come parroco vicino ai contadini e determinato a sottrarli alla loro vulnerabilità rispetto ai gruppi armati come il New People’s Army alla ripresa degli studi negli Usa tra il 1987 e il 1991 («su richiesta altrui»), sino all’impegno di pastore di periferia, vicino agli emarginati, interprete di una teologia come servizio alla Chiesa, mai pratica di una ricerca fine a sé stessa. Non è tutto. Il libro infatti nell’ultima parte entra nel vivo di alcune questioni contemporanee: l’ecologia (e Tagle a proposito non è certo un ambientalista dell’ultima ora e dopo varie iniziative poco recepite nella Chiesa filippina si è sentito 'vendicato' dalla Laudato si’); la globalizzazione (ai suoi occhi impossibile da fermare: tuttavia la Chiesa deve «insegnare alla gente come fare autocritica e discernimento » e «puntare a una globalizzazione dei valori»); infine il dialogo interreligioso (dovere tanto prioritario quanto difficile anche per il contesto internazionale; inoltre «rimane la grande sfida del fondamentalismo, che ha rovinato il senso del dialogo»). E alla domanda posta dai Fazzini sulle questioni-chiave nell’attuale agenda della Chiesa, così padre Chito risponde: «Il mondo cerca uno spazio per incontrare la trascendenza. La Chiesa deve collocarsi nello spazio dove si incontrano le persone che cercano il senso della vita». Deve farlo, imparando «ad essere prima presenza silenziosa, poi maestra in umanità ». Del resto, e qui si avverte l’eco del Vaticano II di Roncalli e soprattutto Montini, «non c’é domanda umana che sia estranea alla Chiesa. Talvolta essa potrebbe non avere una risposta pronta, ma la sua presenza umile e già un segno che la Chiesa ha intenzione di contribuire al processo di riscatto dell’uomo».
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