Il Ponte di Bassano oggi - WikiCommons
«Sul ponte di Bassano / noi ci darem la mano / noi ci darem la mano / ed un bacin d’amor». Era il 1916, la Grande Guerra infuriava sul Grappa alle porte della città veneta e un autore anonimo intonava una melodia entrata presto nel repertorio degli alpini, quegli alpini che trent’anni più tardi avrebbero contribuito a ricostruire il ponte, De Gasperi inaugurante, dopo che i partigiani l’avevano fatto saltare in aria alla fine di un’altra guerra, non ultima di una serie di distruzioni e ricostruzioni… C’è qualcosa di magnetico nel Ponte di Bassano, o Ponte Vecchio, o Ponte di Palladio, o Ponte degli Alpini – e la selva di nomi già suggerisce qualcosa. Pochi ponti hanno attirato la storia su di sé come lui. E a ben vedere non sono poi tante le canzoni popolari ambientate su un ponte: ma quella in questione forse fa capire che non di un semplice ponte si tratta. Andate a Bassano all’ora dell’aperitivo e sul ponte troverete amici di ogni età che bevono, chiacchierano, discutono. E coppie mano nella mano e bacin d’amor. Il ponte è la vera “piazza” di Bassano. Lo è da quando Andrea Palladio lo progettò e costruì nel 1569, dopo che le brentane (le piene del Brenta qui sono così epocali da avere un nome tutto loro) e le guerre ne avevano distrutto una manciata di precedenti. Un ponte disegnato così bene da resistere a quattro piene, fino a che nel 1748 una brentana più brentana delle altre se lo portò via, «come una cesta di vimini» dicono le cronache del tempo. Il ponte è da ricostruire: ma questa volta lo si rifà come l’aveva fatto Palladio. O forse no.
Il progetto di Andrea Palladio nei “Quattro libri dell’Architettura” (1570) - Esseci
Nei mesi scorsi si è concluso l’ultimo lungo restauro del ponte (le fondazioni lignee sono state sostituite da pilastri e travi in acciaio, mascherati dal legno) che nel frattempo era stato distrutto e ricostruito più e più volte, sempre a causa di piene e buriane militari. Un restauro che ha suscitato un vespaio di polemiche, perché a Bassano il ponte non è soltanto un ponte. Polemiche non diverse da quelle accesesi in occasione delle ricostruzioni precedenti. Anche per questo il Museo Civico ha preparata una mostra molto interessante dedicata a “Palladio, Bassano e il ponte. Invenzione, storia, mito”, a cura di Guido Beltramini, Barbara Guidi, Fabrizio Magani e Vincenzo Tiné. Un percorso ricco di documenti, modelli e opere d’arte, accompagnato da un importante omonimo volume (Sagep, pagine 226, euro 35,00), che muove dal rapporto particolare tra il grande architetto veneto e i ponti. A differenza di molti architetti suoi contemporanei, Palladio infatti si è sempre interessato al tema, progettando ponti di pietra – come quello di Rialto, mai realizzato e poi finito in un celebre capriccio di Canaletto, in mostra – e ponti di legno. I modelli erano, ovviamente, quelli antichi: il ponte (in pietra) di Augusto a Rimini e quello (in legno) realizzato a tempo di record da Cesare sul fiume Reno, un vero e proprio atto forza e dimostrazione della potenza bellica romana. Un ponte, quest’ultimo, avvolto dal mito, con gli ingegneri-umanisti a scervellarsi sulle tecniche costruttive. Per Bassano, dove avrebbe voluto costruire in pietra ma la città bocciò l’idea, Palladio muove dalle pagine del De bello Gallico e ne offre la sua versione. E lo copre, come pensava loggiato Rialto, perché fraintendendo i testi antichi sulla scia dell’Alberti era convinto che coperti fossero anche i ponti di Roma.
Antonio Canaletto, “Capriccio con ponte immaginario sul Canal Grande” (XVIII secolo) - Esseci
La grande idea di Palladio è trasformare un ponte, una infrastruttura, cioè qualcosa che sta nel mezzo, in un centro. Non solo un luogo su cui transitare ma un posto dove stare. L’idea davvero sorprendente è dare al ponte un valore urbanistico. Che non sia un caso, qualcosa generato dall’uso delle persone, appare chiaro dall’idea progettuale per Rialto, dove il ponte era parte di un più ampio intervento che razionalizzava il cuore commerciale di Venezia: due piazze colonnate all’antica alle estremità, di cui il ponte costituiva una terza monumentale piazza perno, nuova isola di marmo tra le altre isole. Il ponte di Palladio diventa per Bassano quella che oggi verrebbe definita una “architettura iconica”. E quando viene distrutto nel 1748 non ci sono dubbi: ricostruire com’era dov’era. Ma se sul dov’era ci sono pochi dubbi, sul com’era scatta una classica storia all’italiana, tra lettere anonime e polemiche. Da una parte c’è Bartolomeo Ferracina, geniale orologiaio bassanese, incaricato di ricostruire il ponte e sostenuto da Francesco Algarotti. Dall’altra l’architetto veneto Tommaso Temanza, proto della Magistratura della acque della Serenissima. La querelle in estrema sintesi è questa: Ferracina ricostruisce il ponte come lo conoscevano i bassanesi con qualche modifica, Temanza lo vorrebbe come Palladio lo pubblica nei Quattro libri dell’Architettura. Il problema è che entrambi, il ponte di legno e il ponte di carta, sono autentici. Tra teoria e pratica, o se vogliamo in termini platonici tra idea e fenomeno, è un caso da manuale che mette alla prova il concetto di filologia. È interessante notare come man mano che le ricostruzioni si allontanano nel tempo, si tende a far fede allo scritto e distaccarsi dal costruito. Ma la stessa idea del ponte non nasce forse da un equivoco, l’avere inteso che i ponti romani fossero coperti? Il Ponte di Bassano è il progetto apparentemente meno palladiano di Palladio, così privo del linguaggio classico. Eppure è palladiano all’ennesima potenza perché è la dimostrazione di come il cuore dell’architettura del grande veneto non è l’allure stilistica ma la fusione di funzione ed estetica, la capacità di trovare una soluzione spaziale un problema reale attraverso la qualità della forma che prima di essere rigorosa è soprattutto ricca di inventiva. Il sistema di triangoli generato dalle capriate e dalle “pinne” che si allungano nel Brenta, contrafforti che spezzano la corrente e si oppongono ai tronchi che scendevano dalle valli alpine verso i cantieri veneziani, risolve il tema strutturale con estrema eleganza e forza visuale. L’architettura di Palladio è da questo punto di vista come la dimostrazione di un teorema: esatta quando è bella. È ciò che trasforma questa opera di edilizia in qualcosa di completamente inedito: perché prima ancora di essere un ponte o una piazza coperta, il Ponte di Bassano è un oggetto affettivo. Altrimenti crollato un ponte se ne sarebbe fatto un altro. Uno qualsiasi.