Al cartellone di questa trentacinquesima edizione del Toronto Film Festival non sono bastati i nomi di Clint Eastwood, Robert De Niro, Bill Gates o Nicole Kidman per glissare quello di Bruce Springsteen, gran protagonista l’altra sera nella piramide di vetro della Roy Thomson Hall della proiezione fuori concorso di
The Promise: The making of Darkness on the Edge of Town, documentario su uno dei suoi album più famosi e sofferti. Bruce Springsteen te dice chiaramente: «
Darkness è il disco che mi ha fatto capire esattamente quale sarebbe stato il mio posto nella musica, quello che ancor più di
Born to run ha avviato il mio dialogo profondo col pubblico. Quel dialogo che dura tuttora». Come se lo spiega?«Quando scrivi un libro o componi una canzone i loro contenuti e l’idea che hai del mondo diventano la stessa cosa, la tua impronta digitale. Tutti gli autori che amiamo hanno lasciato la loro impronta digitale sulla nostra immaginazione, sul nostro cuore, sulla nostra anima. È per questo che ce li porteremo dentro per sempre. Secondo me,
Darkness on the edge of town è riuscito davvero a fare breccia nel cuore di molti». Fu tra l’altro un album molto travagliato. «Ci fu anche uno scontro legale col mio ex manager, Mike Appel. Una vicenda triste che allungò a dismisura i tempi di realizzazione, facendo passare ben due anni e nove mesi fra la pubblicazione di
Born to run e quella del suo, attesissimo, successore». Adesso lei con la rimasterizzazione di quell’album ne pubblica anche un altro, «The Promise». «Sono 21 brani in buona parte inediti. Formano quello che io chiamo l’album che manca allo Springsteen anni Settanta». Cosa ricorda di quel periodo? «Erano gli anni in cui con Little Steven e gli altri ce ne andavamo a zonzo nel Sud-Ovest del paese e richiamavamo ogni sera almeno duemila persone che pagavano un dollaro ciascuna per ascoltarci. L’incasso anche se diviso fra tutta la band, ci lasciava grosso modo trecento dollari a testa. Soldi che ci facevano sentire felici e pensare che avrebbe potuto durare così per sempre». Poi qualcosa cambiò. «Fino a quel momento io avevo pensato solo ad intrattenere la gente; sognavo la mia chitarra, una Cadillac rosa e delle ragazze. All’improvviso capii che non poteva durare. Cominciai a sentire il peso del successo. A chi mi chiede se dietro questo disco c’è del coraggio, rispondo che c’è paura. La paura per quello che mi stava accadendo». Interviene l’amico Little Steven. «Durante le registrazioni di
Darkness Bruce aveva per le mani 70 canzoni e non la finiva mai di appuntarne delle nuove su suo taccuino». E come fini? «Alla fine puntai sulle dieci più dure» ribatte Springsteen. «La guerra del Vietnam, finita solo da tre-quattro anni, aveva tolto all’America la sua innocenza lasciandoci dentro molta inquietudine a cui dar voce. Così quelle canzoni mi sembravano troppo esuberanti, io volevo un album più riflessivo, arrabbiato». Il risultato è un disco con le canzoni che l’uomo nato per correre incise sulla spinta emotiva delle varie
Thunder Road o
Jungleland e che i dieci mesi di latitanza forzata dal mercato del disco, visto che ogni nuova canzone sarebbe divenuta oggetto di disputa giudiziaria, finirono per lasciare nel cassetto. «Certi brani forse avevano già una loro valenza politica – continua Springsteen – ma questo aspetto della mia musica non mi fu subito chiaro, per me era solo rock’n’roll con cui raccontare delle storie. Ci volle
The river perché prendessi coscienza in qualche modo pure di questo aspetto, che comunque non considero parte del mio lavoro quanto piuttosto del mio modo di essere». Il piatto forte del progetto
The Promise: The making of Darkness on the Edge of Town è comunque il sontuoso cofanetto, nei negozi il 16 novembre a circa cento euro, che oltre alla riedizione del cd originale e al doppio
The promise contiene ben tre dvd: quello del film presentato l’altra sera a Toronto per la regia di Thom Zimny (già premio Grammy per un lavoro similare,
Wings for wheels: the making of Born to Run), quello senza pubblico girato al Paramount Theatre di Asbury Park lo scorso anno eseguendo integralmente il repertorio di
Darkness e quello tenuto trentadue anni fa a Houston sotto i riflettori della Summit Arena. Alla confezione, oltre maglietta e poster, è accluso il facsimile del quaderno d’appunti tenuto dal cantante (61 anni giovedì prossimo) durante la realizzazione di questo contrastato quarto album con testi, accordi, impressioni e ogni altra informazione riguardanti le registrazioni. Tutto col placet del canale Hbo, la tv via cavo con 38 milioni di utenti, che trasmetterà il docu-film di Zimny il prossimo 7 ottobre. Nelle previsioni della Sony Music è il più grosso evento dell’autunno assieme all’attesissimo disco d’inediti di Michael Jackson.