domenica 27 giugno 2010
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Due italiani tra le stelle. Non sarà la prima volta perché nel 1996 due astronauti «azzurri» presero parte alla stessa missione ed erano sul medesimo veicolo, che in quell’occasione era lo shuttle Columbia. Questa volta due astronauti italiani andranno in orbita, ma con due missioni e veicoli diversi, partendo da due differenti luoghi di lancio. Unico punto in comune, il «sito» spaziale da raggiungere: la Iss, la Stazione Spaziale Internazionale, dove, se le date dovessero essere confermate, i nostri due connazionali potrebbero persino ritrovarsi assieme. Le due missioni, infatti, sono previste tra novembre e dicembre: ancora da confermare la data precisa (ad oggi è ancora prevista per novembre, ma forse slitterà a febbraio 2011) di quella della navetta Endeavour, che tra l’equipaggio vedrà il colonnello Roberto Vittori, alla sua terza missione dopo le due esperienze delle Sojuz nel 2002 e 2005. Per ora è confermata al 28 novembre quella della Soyuz TmA-21, che dei tre occupanti vedrà l’ingegnere di bordo Paolo Nespoli alla sua seconda impresa, dopo quella sullo shuttle del 2007.Sarà un gran momento per l’astronautica italiana per la presenza dei due nostri astronauti, i due «veterani» del nostro gruppo, dato che di recente sono stati raggiunti dagli altri due italiani: Samantha Cristoforetti, originaria del Trentino, e il siciliano Luca Salvo Parmitano. Ma sarà anche un momento importante per l’Europa spaziale (Vittori e Nespoli appartengono entrambi al Corpo Astronauti Esa), e per la scienza spaziale italiana: la missione Sts 134 di Roberto Vittori – che partirà dal Centro Spaziale Kennedy di Cape Canaveral (Florida) – porterà in orbita l’apparato Ams per lo studio della fisica dallo spazio e si tratterà del più grande strumento scientifico mai collocato all’esterno della Stazione Spaziale Internazionale. Paolo Nespoli, invece, sarà il primo italiano, e finora tra i pochi europei, ad effettuare una lunga permanenza in orbita: sei mesi a ruotare attorno alla Terra, da fine novembre 2010 a maggio 2011.La partenza della missione Sts-134 avverrà in un clima di celebrazione e nostalgia. Lo spettacolo, alla gloriosa rampa 39-A, verrà comunque assicurato per l’ultima volta dal solito scenario di frastuono e della scia colorata della navetta. Si tratterà infatti dell’ultima missione di uno shuttle, sempre che non venga accolta in extremis la recente proposta del senatore Bill Nelson, che chiede di effettuare un ulteriore volo shuttle nel 2011. Per Roberto Vittori, 45 anni, colonnello dell’Aeronautica Militare Italiana e astronauta selezionato dall’Asi per il corpo europeo Esa nel 1998, si tratta quindi della terza esperienza spaziale: «La nostra missione è doppiamente significativa – ci dice Vittori da Houston, dove è stata ormai intensificata la preparazione alla missione –. Da una parte sarà quella di conclusione del Programma Shuttle, il più lungo programma americano di missioni spaziali con equipaggio, e allo stesso tempo aprirà un’altra era, legata allo studio della fisica dallo spazio, grazie all’apparato Ams, che porteremo sulla stazione spaziale». La missione della Endeavour, che metterà la parola «fine» a 133 missioni con equipaggio umano in 29 anni, tra imprese epiche, qualche dramma e costi elevati, ha in programma anche tre «attività extraveicolari». Roberto Vittori, che a bordo sarà «lo specialista di missione numero 2», avrà un ruolo fondamentale: gestirà direttamente molte fasi operative a bordo della navetta, e avrà il ruolo di controllo della manovra del braccio robotizzato canadese della navetta. Dalla capsula Soyuz allo shuttle. È come ricominciare daccapo? «Per me non del tutto – precisa l’astronauta italiano dell’Esa –. Già dal 1998 al 2001 passai tre anni a Houston a prepararmi per un volo shuttle. Lo stesso capitò nel 2003, ma poi tutta una serie di circostanze mi portarono a trasferirmi alla Città delle Stelle di Mosca per poi prender parte a due missioni sulle Soyuz».Con la vostra missione si chiude l’era dello shuttle, ma – chiediamo –è anche la fine dell’epoca degli aerei spaziali? «Mi auguro di no. Credo debba proseguire l’era dei velivoli spaziali, come dimostrano diversi nuovi progetti, sia delle agenzie spaziali che di società private. Penso sia giusto continuare con questo concetto, magari con altri progetti. Credo che nuove capsule e navicelle, come quelle in fase di sviluppo, tipo la Orion, siano l’ideale per l’esplorazione dello spazio lontano, per Luna e Marte, mentre un veicolo tipo shuttle va visto come un mezzo complementare, soprattutto per operazioni di spola tra la Terra e l’orbita terrestre». «Nella stiva di carico della navetta – precisa l’astronauta – troverà posto il grande apparato Ams, realizzato in gran parte dall’Agenzia Spaziale Italiana e dall’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare. Una volta collocato all’esterno della Stazione, effettuerà ricerche per tre anni su materia oscura, antimateria, e sulla propagazione dei raggi cosmici nella galassia. Sarà compito nostro garantire l’attracco del grande strumento su una sezione di traliccio esterno alla stazione».L’Ams (Alpha Magnetic Spectrometer), uno strumento pesante 8 tonnellate, avrà anche l’obiettivo di rispondere a due fondamentali interrogativi legati allo studio dell’Universo: l’assenza dell’antimateria e l’origine della materia oscura, una sconosciuta forma di materia che, ricordano gli scienziati, governa l’evoluzione delle galassie a tutti i livelli.È il risultato di una collaborazione internazionale (compreso l’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare con il supporto dell’Asi), guidata dal Premio Nobel Samuel Ting, responsabile dell’esperimento, e dall’italiano Roberto Battiston (dell’università di Perugia) che ne é co-responsabile: «Battiston è stato mio professore alla facoltà di fisica – aggiunge Vittori – e questa piacevole combinazione ci ha fatto incrociare dopo qualche anno. Rieccoci assieme in una missione davvero importante, che in modi diversi ci vede coinvolti».Vittori, di educazione cattolica, ci ricorda infine anche un aneddoto: «Di recente ho preso parte ad un dibattito tra scienza e fede, al quale erano presenti alcuni studenti, assieme al presidente del Pontificio consiglio della cultura, Gianfranco Ravasi. E ho scoperto piacevolmente che il corrispondente in ebraico del termine "buona", contenuto nella celebre frase della Genesi "e Dio vide che era cosa buona e giusta" relativo alla creazione, ha anche il significato di "bella". E credo che niente, come il cielo stellato e la Terra vista da lassù, possa abbinarsi meglio al termine della bellezza nel suo senso universale. Fa riflettere il fatto che sia la Genesi ad enfatizzarlo».
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