Ormai sono sempre di più. E cadono dallo spazio, attraversando l’atmosfera terrestre come meteore. Ma sono oggetti artificiali, costruiti dall’uomo. Sono gli “ space debris”, o detriti spaziali, da tempo chiamati anche “spazzatura spaziale”. Non rappresentano un pericolo serio (per la probabilità molto basse) per chi sta sulla Terra: sinora, dall’inizio dall’era spaziale, non si sono registrate vittime a cause di un rottame spaziale, a parte una signora colpita di striscio da un frammento dello stadio orbitale di un razzo nel 1997 e una mucca colpita da un pezzo dello Skylab, uno dei più grandi (e meno controllati al momento del rientro) tra gli oggetti spaziali caduti dall’orbita terrestre. D’altra parte, più è massiccio il satellite, e più aumentano le probabilità che detriti di grandi dimensioni possano attraversare indenni gli strati atmosferici. E lo Skylab pesava 90 tonnellate. Per fare un paragone, il modulo orbitante cinese Tiangong 1, fortunosamente caduto di recente nell’Oceano Pacifico, pesava dieci volte meno...
Orbite affollate
E proprio il recente rientro del modulo cinese, non controllato perchè non contrallabile (ma monitorato con attenzione da terra), ha fatto tornare di stretta attualità un problema che in realtà è attuale da tempo. Il problema, piuttosto, è serio per le orbite stesse. Perché sono ormai piuttosto affollate. Oggi orbitano intorno alla Terra più di 8mila tonnellate di detriti spaziali, tra i 25 e 30mila oggetti di oltre 10 centimetri tracciati da terra e più di un milione di frammenti, troppo piccoli per essere monitorati in modo continuo. Gli oggetti più grandi sono seguiti da sistemi radar e di sorveglianza: essendo quelli che possono rappresentare maggiore pericolo, fortunatamente, con l’attento controllo, possono essere scansati da una navicella abitata in orbita (come avvenuto in passato in più di un volo Shuttle), oppure dalla Stazione Spaziale Internazionale, che è sempre lassù. Sono perlopiù frammenti di oggetti non più attivi: satelliti, stadi superiori di razzi, oppure stadi o satelliti distrutti da qualche impatto oppure per esplosione (i residui di combustibile, ci sono sempre...). Della questione “detriti spaziali” si è parlato diffusamente al recente Space Symposium che si è tenuto a Colorado Springs, negli Usa, con la partecipazione di esperti provenienti da ogni angolo del pianeta. E dove è emerso che il problema della spazzatura orbitante, oggi, può diventare anche un’opportunità, per sviluppare progetti in grado di risolvere il problema. Tipico, è quello dei satelliti “spazzini”: da tempo sono in cantiere progetti di “ Space Cleaner ”, in grado di afferrare satelliti o rottami orbitali per poi scaricarli nell’atmosfera, dove bruciano senza creare problemi. Infatti, un satellite di dimensioni piccole-medie, brucia completamente nell’atmosfera: sono solo i grossi satelliti o gli stadi superiori dei razzi, oppure moduli o parti di stazioni spaziali, a non bruciare del tutto e a fare ricadere a terra detriti.
Come risolvere il problema
«In futuro il problema del rientro dei detriti spaziali è destinato a tornare sempre più frequentemente alla ribalta – spiega Tommaso Sgobba, Direttore Esecutivo e segretario del Consiglio della International Association for the Advancement of Space Safety – perché se oggi i veicoli spaziali attivi nell’orbita bassa sono almeno 600, nei prossimi dieci anni potranno diventare 20.000. Questo significa che se attualmente i rientri avvengono una volta al mese, tra dieci anni ne avremo uno al giorno». Tra coloro che studiano nuovi progetti per risolvere il problema c’è una società italiana, la Leoni Corporate Advisors, che si occupa da tempo di space debris, e ha proposto e valutato alcune soluzioni. Come la realizzazione della missione Adr ( Active debris removal ) che, attraverso lo sviluppo di space Tugs (rimorchiatori spaziali), sarebbe in grado di catturare i detriti e assicurare una completa caduta dall’orbita verso la Terra, o il riposizionamento dell’oggetto in un’orbita molto alta detta anche “orbita cimitero”: «Se da una parte abbiamo la volontà e la capacità tecnologica di realizzare queste tipologie di “rimorchiatori”, equipaggiati con reti simili a quelle utilizzate dai pescatori, arpioni e braccia robotiche, dall’altra la mancanza di fondi e investimenti rilevanti ostacola il processo di avanzamento della missione - dice Paola Leoni, numero uno della società -. L’Agenzia Spaziale Europea, ha confermato la preoccupazione maggiore: il punto di non ritorno è stato raggiunto; il numero dei detriti spaziali è in costante aumento, anche se oggi tutte le linee guida venissero rispettate».
La stessa Leoni si domanda: «Ma allora, cosa impedisce alle istituzioni di lavorare congiuntamente per una gestione più sostenibile dello spazio introducendo degli spazzini spaziali?». Per fornire una migliore conoscenza delle questioni in gioco e incoraggiare le istituzioni a muoversi verso lo sviluppo di missioni dette di “pulizia spaziale”, durante i Clean Space Industrial Days, la Leoni Corporate Advisors ha introdotto un approccio innovativo per coinvolgere istituzioni, industria e università, attraverso un interattivo programma di lavoro per costruire una visione condivisa del problema e le probabili soluzioni. Il problema in realtà è politico e di diritto internazionale, piuttosto che economico o tecnico. Le partnership pubblico-privato e lo sviluppo di schemi di incentivi, combinate con progetti tipo Adr e un modello di governance (un approccio tipo Protocollo di Kyoto), sono stati suggeriti al Simposio degli USA come potenziali strumenti efficaci.