giovedì 18 luglio 2013
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Il geco, con quella sua aria da dinosauro in miniatura, zampetta su per la parete, s’inoltra sul soffitto, si guarda attorno, lo attraversa in tutta la sua lunghezza e scende dall’altra parte. Non ha ventose che gli consentano di sfidare la forza di gravità. Invece... «i suoi polpastrelli hanno un numero elevatissimo di setole nanoscopiche – spiega Alberto Cigada, docente di nanotecnologia al Politecnico di Milano – così tutti gli atomi di superficie delle zampette vengono in contatto col soffitto (cosa che non avviene quando sono a contatto due superfici non nanostrutturate). E la sommatoria delle piccolissime forze di attrazione tra questi e gli atomi del soffitto supera la forza di gravità». La parte interessante dell’osservazione naturistica consiste nel fatto che c’è la possibilità di copiare la piccolissima struttura della pelle dell’animale: operando nella dimensione “nano”, un miliardesimo di metro. In pratica, l’idea fantascientifica dell’uomo-ragno può diventare realtà. Se fino al XX secolo ci si è mossi o nel “macrocosmo” o nel “microcosmo”, questo XXI secolo si annuncia nel nuovo orizzonte nanocosmico: le strutture di scala immediatamente superiore a quella dell’atomo. A queste dimensioni i materiali presentano proprietà totalmente nuove. Pensiamo all’alluminio: chi immaginerebbe che possa essere usato come carburante? Con le nanotecnologie si ottiene questo risultato sorprendente, perché si dà il caso che l’alluminio si ossidi con una reazione esotermica (ovvero producendo calore) che riguarda i soli atomi di superficie. Con conseguenze che Cigada spiega disegnando un cubo: «Se il suo lato è lungo un nanometro, il cubo conterrà 1000 atomi, seicento dei quali saranno sulla superficie: uno ogni sei, la maggior parte. Se il lato è invece lungo un millimetro, gli atomi presenti nel cubo sono 1021 (mille miliardi di miliardi) di cui solo 1 ogni 2,108 (uno ogni duecentodieci milioni) in superficie: pochissimi. Si capisce pertanto come la reazione esotermica sia praticamente impercettibile se connessa con l’ossidazione di masse di alluminio come quelle che conosciamo negli oggetti comuni. Mentre quella dell’alluminio in nanoparticelle è esplosiva: tanto che questo può essere usato come combustibile per razzi».Da quando si parla di nanotecnologie? Dal 1959, quando Richard Feynman, che è considerato il padre delle nanotecnologie, in un convegno dell’American Physical Society a Pasadena tenne un discorso intitolato There’s planty of room at the bottom (“C’è un sacco di spazio giù in basso”) in cui preconizzò: “Potremo sistemare gli atomi come vorremo. I principi della fisica non impediscono di manipolare gli oggetti atomo per atomo. Non si viola alcuna legge, semplicemente sinora non l’abbiamo fatto perché siamo troppo grandi”. E propose la sfida: scrivere i 24 volumi dell’Enciclopedia Britannica sulla capocchia di uno spillo. Nel 1985 uno studente, Tom Newman, ne dimostrò la fattibilità riducendo di quindicimila volte le dimensioni di un paragrafo, grazie all’uso del microscopio elettronico a effetto tunnel e del microscopio a forza atomica.Ora, da tempo le nanotecnologie sono una realtà...Sono studiate e trovano applicazioni in vari campi, dalla fisica alla chimica, all’ingegneria al design. Riguardano materiali e sistemi in cui almeno una delle dimensioni è compresa tra uno e cento nanometri e in cui la manipolazione della materia avviene con processi che consentono un controllo completo sulla composizione e sulla struttura di scala atomica e molecolare.Qualche altro esempio? In Italia il caso più noto è quello della chiesa Dives in Misericordia, costruita a Roma nel 2003. L’architetto Richard Meier voleva una superficie sempre bianca e per ottenerla sono state aggiunte al cemento delle nanoparticelle di ossido di titanio fotocatalitiche, in grado di determinare autopulizia della facciata: dopo dieci anni il colore della chiesa è rimasto identico a com’era all’inaugurazione, senza alcun intervento per pulirla.E in altri campi? La nanomedicina: nanotubi di carbonio possono essere legati a molecole in grado di aderire selettivamente solo alle cellule tumorali, quindi tramite irraggiamento infrarosso i nanotubi si surriscaldano distruggendo le cellule vicine, e solo quelle. Questa tecnologia è già pronta per passare alla sperimentazione preclinica. Un altro esempio, che coinvolge direttamente il gruppo di ricerca da lei guidato, riguarda i trattamenti con cui si possono realizzare superfici antibatteriche adatte ai dispositivi biomedici, agli ospedali, ai giocattoli, o filtri antibatterici da collocare per esempio nei sistemi di condizionamento dell’aria, che spesso sono causa della diffusione di elementi patogeni... Soluzioni di questo tipo consentiranno di rendere igienici gli ambienti ospedalieri, dove altrimenti è facile che si propaghino infezioni: basti pensare che negli ospedali italiani, stando a fonti giornalistiche, ogni anno contraggono infezioni batteriche circa settecentomila persone, causando sedicimila morti. Al Politecnico di Milano stiamo sviluppando i filtri “Next” in cartone ondulato, trattato così da divenire antibatterico. Sono in grado di ridurre la carica batteria negli ospedali e in altri ambienti pubblici sensibili, quali le scuole o gli autobus.
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