Erano stati dimenticati. Non solo perché non avevano chiesto ricompense pur avendo rischiato la vita. Erano stati dimenticati perché il loro impegno per tanti concittadini ebrei avrebbe forse smascherato la leggenda dell’impossibilità di ribellarsi al Führer. E tuttavia – trascurato o rimosso che dir si voglia – quell’impegno ci fu ed ora viene riconosciuto. Se è vero che il tema degli aiuti agli ebrei durante il regime hitleriano da parte dei tedeschi «ariani» è stato a lungo ignorato nelle due Germanie (era appunto più comodo credere che nessuna reazione fosse possibile innanzi al terrore nazista), è pur vero che da alcuni anni si sta colmando questa lacuna. Il merito è di alcuni ricercatori della Technische Universität di Berlino che, su iniziativa di Wolfgang Benz (direttore del
Zentrum für Antisemitismusforschung), hanno avviato una raccolta di memorie confluita in una banca dati, nella quale gli episodi più significativi a favore di ebrei tedeschi da parte dei loro concittadini – motivati da ragioni politiche, religiose, umanitarie – registrano, per la sola zona di Berlino (dove si trovava la più grande comunità ebraica del Reich) il salvataggio di alcune migliaia di persone. Un numero rilevante ricostruito su diari, resoconti, testimonianze e che pone nuovi interrogativi nel recupero della memoria del nazismo e della Shoah; un’opera che la Germania porta avanti da tempo con risultati notevoli, e non solo nella comunità accademica o sui media, se si pensa – ad esempio – che in molti rifugi usati per salvare ebrei si sono realizzate stanze museali aperte al pubblico.A ricordarci tutto ciò è ora Claudio Natoli con il saggio
Resistenza civile a Berlino: il soccorso degli ebrei da parte dei concittadini tedeschi in uscita sulla rivista «Passato e Presente» (Franco Angeli): un testo che delinea il volto di un’altra Germania: quella che rifiutò di assimilarsi alla massa degli Jasager, fedele a concezioni politiche o al Vangelo, e capace delle più diverse manifestazioni solidali. Un intreccio di comportamenti individuali o di gruppo, riconducibili alla «non conformità», dentro un quadro dove pure certe circostanze hanno avuto il loro peso. Ad essi occorre riferirsi per capire perché a Berlino – tra il 1942 e il ’45 – migliaia di ebrei riuscirono a sottrarsi alle deportazioni, e, in parte, a sopravvivere. Senza dimenticare che quest’area metropolitana, dove restare nell’anonimato era più facile e dove istituzioni ebraiche locali continuavano ad offrire assistenza, consentì condizioni più favorevoli (ma pur sempre pericolose) nella ricerca di nascondigli, nell’organizzazione di espatri clandestini, nel rifornimento di denaro o generi di prima necessità, nella realizzazione di documenti falsi. Certo, la vita quotidiana degli ebrei illegali (
U-Boote, ovvero «sommergi-bili») restava di estrema precarietà, esposta allo zelo della Gestapo facile ad attivarsi, ma in ogni caso – senza la protezione di una rete solidale – condannata ai più tristi destini che la storia ci ha fatto conoscere. Non solo: «Durante la guerra, nelle condizioni di sorveglianza e di radicalizzazione del terrore, di stigmatizzazione pubblica dei perseguitati e di sempre più grave segregazione degli ebrei in una società separata di paria, ma anche di crescente atomizzazione della società tedesca, che tendeva a relegare ciascuno nell’ambito di strategie familiari o individuali di sopravvivenza…, la situazione generale dei perseguitati era drammaticamente peggiorata», nota Claudio Natoli. Aggiungendo però che – se resta acclarato che le deportazioni degli ebrei tedeschi, pur avvenendo a contatto con la popolazione, non suscitarono pubbliche riprovazioni (tranne il caso della Rosenstrasse, la via berlinese in cui migliaia di donne dal 27 febbraio al 6 marzo 1943 assediarono giorno e notte l’edificio dell’organizzazione assistenziale ebraica trasformato in prigione per mariti e familiari, poi liberati per il timore di un allargamento della protesta, poco dopo la sconfitta di Stalingrado) – «ciò non significa che l’atteggiamento della maggior parte della popolazione tedesca abbia corrisposto allo stereotipo dei volenterosi carnefici di Hitler coniato da Daniel Goldhagen». Natoli distingue poi fra i diversi comportamenti: dal sostegno alla persecuzione all’indifferenza, dalla distanza nella sfera privata alle varie forme di solidarietà. Che, pur riferibili a una minoranza, furono più ampie di quanto sinora ritenuto e continuarono dopo l’imposizione della stella gialla: da parte di amici «ariani», comunisti o conservatori, cattolici o protestanti, intellettuali o operai, compagni di lavoro, negozianti, persino sconosciuti pronti a farsi notare con pericolose pubbliche strette di mano ad esprimere il senso di quella comune cittadinanza invisa ai nazisti. Proprio da questi ambienti e dall’unione di queste persone pronte a resistere, nacquero anche quelle reti di salvataggio per gli ebrei ora al centro di un’attesa riscoperta.