Forse non siamo molto abituati a vederla così, ma in realtà gli adolescenti iperconnessi di oggi vivono come se fossero costantemente immersi in un’enorme biblioteca, dove trova spazio ogni possibile argomento, materia di studio o semplice passatempo. Certo, non tutto è edificante, ma mai prima d’ora si è avuta a disposizione una quantità simile d’informazioni di ottima qualità, alla portata di chiunque. E con un’altissima probabilità di trovare qualcuno con cui condividere le proprie passioni, costruendo così relazioni profonde e durature. Se provassimo a guardare il rapporto fra ragazzi e web da questo punto di vista, faremmo delle scoperte molto interessanti. È quanto è successo a Mizuko Ito, giapponese trapiantata negli Stati Uniti, antropologa dei media, docente all’Università della California a Irvine, fra le prime a studiare sul campo l’uso dello smartphone da parte dei ragazzi e fautrice del ruolo fondamentale del gioco online e in generale dell’utilizzo della Rete come potenti strumenti per l’apprendimento. Sulla base delle sue ricerche sono nate varie esperienze pratiche per ragazzi, genitori e docenti. Una delle più attive è “Connected camps”, che offre consulenza e formazione sull’uso dei servizi online per far nascere e crescere comunità che condividono interessi e favorire forme di apprendimento spontaneo. Grazie all’utilizzo massiccio di servizi online, tali iniziative offrono formazione di alto livello anche a ragazzi che magari non avrebbero la possibilità di accedere a un’istruzione di qualità. E spesso a insegnare sono teenager come loro, che nei “Connected camps” hanno acquisito le competenze necessarie. Di recente è uscito negli Stati Uniti l’ultimo libro curato da Mizuko Ito, Affinity online. How connection and shared interest fuel learning (“Affinità online. Come la connessione e gli interessi condivisi favoriscono l’apprendimento”), nel quale descrive – casi alla mano – il contributo fondamentale che un buon uso delle risorse online può dare allo studio tradizionale.
Ci può spiegare in che cosa consiste quello che lei chiama connected learning, “apprendimento connesso”?
«È la situazione che si viene a creare quando un ragazzo è incoraggiato a seguire un suo reale interesse, con il sostegno dei propri insegnanti, ma anche dei compagni e di altri adulti di riferimento. A partire da questo coinvolgimento iniziale, che può essere innescato da un argomento non direttamente tratto dal programma scolastico, viene a costruirsi un percorso personale di apprendimento, che in qualche caso si potrà trasformare in una vera e propria opportunità di carriera. In un modello del genere la connessione in Rete favorisce il crearsi di comunità con forti legami al loro interno, in grado di motivare anche allo studio scolastico».
Qual è il ruolo della scuola in uno scenario di questo tipo?
«Alcuni istituti stanno completamente ripensando la propria struttura per essere più aperti alle scelte dei propri studenti. Ma in realtà il contributo della scuola può partire da qualcosa di molto più semplice, come chiedere a ogni ragazzo che cosa lo interessa davvero e poi dare spazio a quell’interesse, anche se magari non è direttamente collegato alle materie di studio. Un professore potrebbe ad esempio lasciare in qualche caso che sia l’allievo stesso a decidere su cosa concentrarsi nel lavoro a casa e scegliere gli argomenti per eventuali approfondimenti. I risultati migliori si ottengono quando gli insegnanti danno anche consigli su come alimentare le passioni dei propri studenti, fornendo indicazioni di risorse, online e offline. Nelle nostre ricerche abbiamo constatato spesso come il solo fatto che un docente prenda del tempo per capire davvero qual è l’interesse di uno studente sia in grado di cambiare radicalmente il rapporto di quel ragazzo con la scuola e con lo studio in generale».
A quali condizioni si sviluppa questo circolo virtuoso che favorisce l’apprendimento?
«All’interno di una comunità online che si crea attorno a uno specifico interesse un ragazzo può accreditarsi come guida competente, rafforzando così la sua autostima, e può arrivare a sperimentare relazioni autentiche con gli altri membri della comunità online. Nel libro parliamo ad esempio di un quindicenne americano che grazie all’abilità nel videogioco Starcraft, favorita da una famiglia molto partecipe, in cui alla sera spesso si organizzavano partite con il papà e i fratelli più grandi, si è costruito un proprio percorso che lo ha poi portato ad appassionarsi di robotica e a concentrare proprio in quel settore i suoi studi. L’ambito delle comunità di fan di un certo personaggio, film o programma televisivo, offre numerosi esempi analoghi. Posso citare il caso di un ragazzo brasiliano di 18 anni che, mosso da una passione per gli “ anime” giapponesi, ha imparato a scrivere storie di quel tipo e a realizzare brevi video da condividere all’interno di una community online dedicata al tema, diventando in breve un punto di riferimento per il gruppo. A scuola ha avuto la fortuna di incontrare insegnanti che lo hanno aiutato a inserire questo suo interesse all’interno di un percorso di studi, suggerendo risorse da consultare, ma anche chiedendo al ragazzo stesso di tenere alcune lezioni sul tema per ragazzi delle classi inferiori. Un lavoro positivo sull’autostima confermato dal supporto di docenti e compagni. A noi piace dire che nel nostro modello di connected learning gli insegnanti diventano “sponsor” dei ragazzi».
Oggi c’è grande dibattito sull’opportunità di utilizzare gli strumenti tecnologici all’interno delle attività scolastiche. Lei cosa ne pensa?
«Più che la tecnologia sono determinanti le relazioni che si vengono a creare attorno a essa. Se un ragazzo non ha un buon rapporto con la scuola o con altri adulti che lo seguono, la frequentazione del mondo digitale può anche portare a esiti negativi. Se invece c’è un forte legame con una comunità – famiglia, scuola, gruppi online – con cui condividere i propri interessi, l’uso creativo del web può veramente dare al ragazzo un senso più profondo del suo compito sia dal punto di vista di una futura professione sia offrendogli prospettive impensate d’impegno sociale al servizio della propria comunità».