Il chiaroscuro dà il senso del volume: senza ombre le superfici si appiattiscono e l’immagine perde profondità. Pur se il desiderio di luce, che è espressione di vita, è connaturale alla storia – tanto che nella Genesi il primo atto della creazione è proprio quello che dà luogo alla luce – oggi l’elettricità diffusa sta provocando sconvolgimenti macroscopici che sollecitano un ripensamento. Recente è l’allarme lanciato dall’astronauta Paolo Nespoli, una cui fotografia dalla stazione orbitale mostra un’Italia "sprecona" invasa da luminarie notturne in modo incomparabilmente maggiore dei vicini nordici in Germania. E da tempo si parla di «inquinamento luminoso»: le associazioni di amanti dell’astronomia lamentano che è sempre più difficile trovare siti da cui puntare i telescopi nel cielo notturno, perché tale è la quantità di luce riflessa verso l’alto dall’insieme di lampioni, fari, insegne pubblicitarie, che le stelle scompaiono. Tanto che l’oscurità comincia a essere assunta nel novero delle specie protette e nel mondo si contano già diverse «riserve di buio». Poche settimane fa in Inghilterra ha preso il via una campagna per fare della foresta di Kielder, nel Northunberland, un’oasi protetta dalla luce elettrica. Tra Europa e Usa vi sono già 12 zone di questo tipo, dove l’illuminazione elettrica è ridotta al minimo e assente è la sua dispersione verso l’alto. L’alternanza luce-buio marca il ritmo in cui si manifesta il tempo e si identifica con l’alternanza lavoro-riposo: anche da questo punto di vista un’illuminazione eccessiva, ed eccessivamente protratta, è vista come dannosa. «CieloBuio», il coordinamento per la protezione del cielo notturno, propone che l’illuminazione pubblica fuori dalle città e quella erogata su monumenti ed edifici storici cessi dopo le 23, sostenendo che anche metà dei fanali stradali dovrebbe essere spenta dopo quell’ora. Questo tra l’altro contribuirebbe a ridurre la bolletta energetica: in Italia il consumo pro capite per l’illuminazione pubblica sarebbe di 106 kWh (per paragone in Germania è di 48kWh e in Gran Bretagna di 42) secondo dati diffusi dallo stesso organismo, che reputa valutabile in circa mezzo miliardo di euro lo "spreco" annuale per l’illuminazione eccessiva nel nostro Paese. Sostiene Fabio Falchi, presidente di CieloBuio: «È stato scoperto un sensore dell’occhio che regola il nostro orologio interno e la produzione di melatonina. L’esposizione, anche breve, alla luce artificiale interrompe la produzione notturna di questo elemento», che è un efficace antiossidante, la cui presenza è un fattore di benessere per l’essere umano. E, senza dubbio, l’incidenza della luce elettrica è tale da influenzare anche le abitudini degli animali: per esempio, gli insetti si raccolgono vicino alle lampade accese e questo provoca modifiche nel comportamento delle specie che di insetti si nutrono, a partire dai ragni: ne parla il britannico
Biology Letters. D’altro canto, la scienza dell’illuminazione è relativamente recente. Il primo esempio in via sperimentale di un impianto di illuminazione pubblico fu realizzato nella Galleria Vittorio Emanuele a Milano nel 1881 e solo dopo la svolta del secolo si può parlare di impianti diffusi nelle città. Le generazioni nate dopo il secondo dopoguerra la considerano un dato universalmente acquisito, ma nella prima metà del ’900 era ancora un fenomeno circoscritto. Oggi il problema è individuarne la giusta dimensione e l’appropriatezza. A volte si trovano chiese illuminate all’interno con fari da campi di calcio, là dove su mosaici e pitture murali scivolava solo il tremolante bagliore delle candele. La luce si manifesta in quanto separata dalle tenebre, tuttavia, senza il buio, perde la sua vitalità e si rivela persino distruttrice. Sotto il lampione presso il quale Lili Marleen incontrava il fidanzato soldato, le loro due ombre si univano in un pudico abbraccio e l’immagine resa dalla voce nostalgica di Marlene Dietrich, ebrea tedesca esule in Usa, resta l’icona di un tipo di luce che trova un che di poetico nell’essere sorella del buio. Se i lampioni fossero stati 3 o 4, e l’intensità luminosa tale da elidere le ombre, forse non ci sarebbero state quelle note che, sole, univano i soldati di tutti i fronti nella seconda guerra mondiale.