Il tempo, "mistero irriducibile sul quale nessuna scienza fa presa", scriveva Simone Weil. Sulla maestà del tempo, il flusso inafferrabile che ci conduce, sequenza di istanti che sono e già non sono più, si affaccia l’ultimo lavoro di Eugenio Borgna, psichiatra emerito e scrittore (
Il tempo e la vita, Feltrinelli, pagine 224, euro 18,00). Un libro dal marchio agostiniano, attento più che al
cronos, il tempo misurabile, a quello interiore: il tempo come dimensione dell’anima. Distinzione di cui Borgna rievoca la sua personale scoperta, alle soglie dell’adolescenza. «Dopo l’8 settembre ’43 – racconta – mio padre si arruolò fra i partigiani cattolici della Repubblica dell’Ossola, e mia madre decise di portare i miei cinque fratelli e me, per timore di rappresaglie, lontano dalla casa natale di Borgomanero. Ci rifugiammo a Grassona, un isolato paesino sopra al lago d’Orta, in una casa accanto al campanile. L’orologio della torre batteva ogni quarto d’ora, di giorno e di notte. Io avevo 13 anni e nel sonno continuavo a svegliarmi, scoprendo un tempo che non passava mai, nell’ansia della guerra e nel timore dei tedeschi. Un tempo immobile. Le lancette dell’orologio avanzavano regolarmente, ma io mi affacciavo sulla vastità infinita del tempo interiore».Solo anni dopo Eugenio Borgna avrebbe letto Agostino e scoperto «il suo spostamento copernicano dal tempo dell’orologio al tempo interiore, ciò che fa dire al Padre della Chiesa: "Se qualcuno mi chiede cosa sia il tempo, io che fino a un istante prima sapevo, non lo so più"».Nel libro Borgna cita Shakespeare, "la fretta del tempo" che divora, cita Eliot: le case che sorgono a vanno in rovina e crollano, per lasciarne sorgere altre.
Ma, professore, a lei non fa paura la corsa oscura del tempo, che ci conduce dove vuole?«Sì, tuttavia negli anni ho imparato che una sola dimensione riscatta il tempo, ed è la speranza. La speranza che, come dice Gabriel Marcel, è la memoria del futuro. Perché anche ciò in cui speriamo nasce, attinge comunque dal nostro passato. Le cose accadute non sono cancellate, ma come da correnti carsiche rinascono, e danno contenuto alla speranza».
E cosa dunque salva dalla pressione del tempo, quella che si avverte forte quando la giovinezza è finita, quella che sembra poterci divorare? «Ci salva la contemplazione, e la preghiera: la preghiera, il dialogo con Dio è la sola lanca, in cui la corrente del fiume del tempo si ferma».
Se questo è il privilegio di una maturazione spirituale, quando invece guardiamo all’oggi, a un tempo colmato da una comunicazione futile e quasi ossessiva, da parole vuote, ci viene in mente Seneca, «l’uso del tempo divide chi sa da chi non sa...».«Il tempo oggi viene considerato quasi esclusivamente nella sua dimensione cronologica, senza che se ne riconosca il significato, senza cogliere, di ciò che facciamo, quel che ci può salvare. Allora questa accezione del tempo si fa successione vertiginosa di avvenimenti senz’anima. Il tempo frantumato dal frenetico scambio di informazioni superflue distrugge, mentre l’accoglienza del tempo interiore ci salva, e salva il nostro prossimo. Anche se perfino nel disperato tentativo di riempire affannosamente il tempo con il web si intravede l’oscura nostalgia di relazioni umane perdute».
Per Simone Weil, che lei cita, l’amor fati, cioè l’accogliere qualunque cosa ci venga da Dio, è l’unica disposizione dell’anima incondizionata rispetto al tempo. Ma questa disponibilità assoluta al disegno divino è davvero possibile a un uomo? «È possibile, come ci ha mostrato Teresa di Lisieux, che delle sue giornate accettava tutto: sofferenza, silenzio di Dio, angoscia di morte. Però, anche senza arrivare alla santità, io posso testimoniare di avere incontrato persone semplici che mi hanno lasciato stupefatto per la accettazione del dolore e della morte, come segno di qualcosa che oltrepassa la nostra comprensione, segno del Dio fatto uomo che sul Golgota ha conosciuto ogni nostra sofferenza».
Ancora Simone Weil ha scritto: «Il tempo è l’attesa di Dio, che mendica il nostro amore». «E quale altra spiegazione possiamo trovare al dolore e alla morte, se non questo affidamento totale, questo buttarsi nell’oceano del tempo pensando che le sue onde infinite sono buone? Come ha fatto, nell’ora della oscurità dell’anima, Teresa di Calcutta».
Ma, oltre a queste levature vertiginose dello spirito, lei dedica un capitolo anche a una esperienza comune, quella della noia. Perché la noia affligge tanti, e spesso persone alle quali non manca nulla? «La noia ci coglie quando siamo tagliati fuori da ogni forma di comunità, di caritas e di amore; quando siamo prigionieri di un tempo immobile, perchè è caduto qualsiasi slancio che ci porti al di fuori di noi. Chi ama non si annoia, chi vuole bene non si annoia, perchè vive costantemente in un cerchio di attenzioni e ispirazioni e affetti. Quando ci annoiamo, dovremmo chiederci in che cosa stiamo sbagliando».
Benedetto XVI ha parlato dell’«eterno presente di Dio», espressione agostiniana che fa sperare in un tempo salvato dal tempo. Ma, come si entra in una simile dimensione? «Nello slancio senza fine che è proprio della solidarietà, della carità e della speranza si può realizzare, credo, una primizia dell’"eterno presente" di Dio alla quale alludeva Benedetto"».Ciò che vivono i santi, ciò che fra noi pare impossibile raggiungere.