Un'immagine del film “Scherza con i fanti” di Gianfranco Pannone e Ambrogio Sparagna
«Il nostro non è mai stato un popolo realmente guerriero, anche perché la millenaria storia del Paese ha visto fin troppe guerre, violenze, invasioni». Questo l’assunto da cui il regista Gianfranco Pannone e il musicista Ambrogio Sparagna partono per l’appassionante e commovente docufilm Scherza con i fanti. Piccola storia degli italiani in divisa e di come abbiamo imparato a non aver paura della pace. Il documentario, che ha già vinto il premio talenti creativi della Siae, sarà proiettato come Evento speciale alle Giornate degli autori oggi, giorno di apertura della Mostra del Cinema di Venezia che si concluderà il 7 settembre. (Il film verrà invece presentato al pubblico il 31 agosto alle 11.30 nella Sala Perla del Casino al Lido).
Grazie alle preziose immagini dell’Istituto Luce, che lo produce e distribuisce, Scherza con i fantivuole essere un viaggio tragicomico nella storia d’Italia, dall’Unità ai giorni nostri, e insieme un canto per la pace, analizzando il complesso rapporto del popolo con il mondo militare e con il potere.
Il Luce a Venezia porterà anche nella sezione Sconfini la docufiction Il varco con la regia di Federico Ferrone e Michele Manzolini, storia di un soldato italiano durate la Campagna di Russia. Sparagna e Pannone raccontano invece, attraverso immagini inedite e canti popolari, quattro storie tratte da altrettanti diari di guerra. Quelli di un soldato lombardo del Regio Esercito di stanza a Pontelandolfo, in Campania, dove fu tra i protagonisti dell’eccidio di civili più cruento all’indomani dell’Unità d’Italia; un autista viterbese del Regio Esercito, convinto fascista, che nel 1935 in Etiopia invece scoprì la realtà dei gas ai danni della popolazione locale. Il terzo diario è quello di una giovane donna borghese, che divenne partigiana sulle montagne tra Parma e La Spezia. Infine un sergente napoletano della Marina militare, oggi quarantenne, che in missione di pace in Kosovo ha scritto un diario ricco di umanità. In ultimo, la testimonianza di Ferruccio Parazzoli.
«Componiamo un dittico con Lascia stare i santi, film sulla religione popolare che Ambrogio e io abbiamo fatto insieme tre anni fa – spiega Pannone –. L’Italia non deve dimenticare che a inizio ’900 eravamo un mondo contadino e pastorale, origini umili di cui dal dopoguerra ci siamo vergognati e a cui oggi occorre tornare. Il Paese in questo momento difficile della sua storia deve sapersi leggere».
Pannone e Sparagna scavano come due archeologi fra immagini e suoni, per raccontare la vera anima dell’Italia. «Nell’archivio del Luce ho trovato anche molto materiale dei 'combat film' americani girato, ma non montato. Un vero patrimonio. Ed anche documentari dimenticati anni 30 che rappresentavano un’Italia meno conosciuta». Raccontando di Vincenzo, il sergente di Marina suo vecchio amico, Pannone vede «un modello di soldato nuovo che non ama prendere il fucile e sparare, ma che ti dice “io per la patria morirei”. Esiste un “neopatriottismo”, che contrasta l’affermarsi del sovranismo. Un paese deve avere il coraggio di credere in se stesso senza confini, e sentirsi parte di una storia e di più storie». Il regista conclude: «L’Italia è un Paese che può insegnare la pace nel mondo, forti di 2000 anni di cristianesimo. Ambrogio e io da credenti riteniamo che questo Paese non possa dimenticare le proprie radici, di come ha imparato ad accogliere. D’altro canto il nostro è il Paese di san Francesco».
Lo stesso concetto, Sparagna lo spiega con la musica, nel documentario che contiene due chicche: in apertura la paradossale Salsicce e cannoni interpretata dallo scomparso Francesco Di Giacomo del Mutuo e in chiusura la poetica San Lorenzo, concessa da Francesco De Gregori. «Dentro la tradizione popolare esiste una ricchissima presenza di canti che contestano la guerra – ci racconta Ambrogio Sparagna –. A parte certa innografia di tipo reggimentale, la maggior parte dei canti contiene un anelito alla pace. E questo perché il canto popolare sacro è alla base del canto contadino. Non dimentichiamo le laudi popolari di san Francesco, san Filippo Neri, sant’Alfonso Maria de’ Liguori. Questo carattere pacifico, questo desiderio di una vita tranquilla si sono conservati nella cultura popolare».
Una pietas presente dai canti della prima Guerra Mondiale, alle preghiere friulane, al dolore della partenza cantato in siciliano da Mario Incudine sino a San Lorenzo, «il canto della ricostruzione ». Toccano il cuore, poi, le immagini delle donne vittime della violenza delle “marocchinate” durante la Seconda Guerra Mondiale accompagnate dal Magnificat di Giovanni Lindo Ferretti. «Racconto la testimonianza forte e inalienabile della cultura popolare cristiana che è fonte di pietas e di solidarietà delle persone, musica che è desiderio di comunione e comunità: questa è la forza che possiamo lasciare alle nuove generazione ».