Due secoli fa, nel 1810, l’imprenditore franco-britannico Pierre Durand ottenne dal re Giorgio III d’Inghilterra il brevetto per la sua idea di conservare i cibi. Già una decina di anni prima, però, il venditore di dolci Nicolas Appert aveva studiato il problema e nel 1809 si era aggiudicato il premio di dodicimila franchi che Napoleone aveva messo in palio per chi gli avesse presentato un sistema per conservare i cibi, necessario per garantire alle sue truppe la fruizione di grandi quantitativi di cibo durante i lunghi trasferimenti. Appert, però, che nel 1810 aveva pubblicato l’
Art de conserver les substances animales et végétales, usava bottiglie di vetro a chiusura ermetica mentre Durand aveva inventato le scatolette metalliche, molto più sicure dei fragili recipienti di vetro. E a questo punto è curioso ricordare che dal nome di Nicolas Appert è derivato "appertizzazione", un termine che si trova in tutti i vocabolari e che definisce il metodo di conservazione dei cibi in scatola. Cibi che cominciarono ad essere prodotti nel 1813 quando Bryan Donkin e John Hall impiantarono una industria di conserve per rifornire l’esercito inglese. In Italia le prime "scatolette" fanno la loro comparsa intorno alla metà dell’Ottocento, quando un certo Lancia mette in scatola della carne di bue per i soldati piemontesi che stanno combattendo in Crimea. Poi è la volta di Francesco Cirio, un commerciante di Casale Monferrato che mettendo in barattoli i piselli avrebbe dato vita a una delle più famose industrie conserviere italiane. Pochi anni dopo, nel 1881, per poter far fronte alle numerose richieste della sua clientela, il salumiere milanese Piero Sada mette in scatola il suo famoso lesso di carne, ma quella "roba" inscatolata mista a gelatina non incontra subito i favori della gente, più propensa a consumare cibi freschi. Ma un bel giorno lo svizzero Gondrand effettua la prima trasvolata delle Alpi su una mongolfiera e a Sada viene la bella idea di sponsorizzare in parte l’impresa offrendo la sua carne in scatola all’equipaggio. L’idea piace e, è proprio il caso di dirlo, la scatoletta di carne decolla insieme alla mongolfiera tant’è che Gino Alfonso, il figlio di Sada, darà vita alla produzione industriale del prodotto che chiamerà Simmenthal, dal nome di una razza bovina della valle svizzera di Simmen. Ma accanto ai cibi in scatola hanno preso piede anche le bevande in lattine, che hanno conosciuto una larghissima diffusione perché sono forti, infrangibili e si possono "impilare", consentendo una miglior razionalizzazione degli spazi per il loro trasporto. Le moderne tecnologie hanno consentito anche di ridurre il loro spessore rendendole leggerissime. All’inizio degli anni Sessanta del secolo scorso, infatti, le lattine pesavano 80 grammi, ma già nel 1990 il peso di una lattina si era ridotto a 16,58 grammi. Oggi una lattina di 33 cl pesa intorno ai 13 grammi e, nonostante il suo involucro abbia lo spessore poco più grande di una pagina di giornale, può sopportare il peso di una persona. Ogni anno in Europa si producono più di trenta miliardi di lattine e solo in Italia il consumo è di circa due miliardi all’anno, più di un quarto dei quali viene interamente riciclato. E grazie al riciclaggio una lattina non si trasforma necessariamente in un’altra lattina, ma può contribuire a fabbricare gli oggetti più disparati. Per realizzare un cerchione d’auto, ad esempio, sono necessarie seicentoquaranta lattine, per fare una caffettiera ne bastano trentasette e solamente tre per ottenere un paio di occhiali. Con circa ottocento lattine si può costruire una bicicletta. Il prototipo, chiamato "Ricicletta", è stato presentato alcuni anni fa alla fiera biennale ambientale di Venezia e fu lanciato dal Cial, il Consorzio imballaggio in alluminio. La "Ricicletta", che è una leggerissima bici da città, è formata per metà di alluminio di recupero e per metà di alluminio puro. Per sensibilizzare la raccolta differenziata, il Cial ha predisposto negli spazi del Giffoni Film Festival contenitori per la raccolta delle lattine e dal 2005 ha istituito il premio Cial per l’ambiente, per un film realizzato dai ragazzi che meglio affronta le tematiche ambientali. Ai vincitori verrà consegnato il trofeo "Grifone in alluminio riciclato". Negli spazi del festival, infine, l’associazione di volontariato "Gruppo sportivo Vita per la Vita" di Boccaglio (Brescia) ha costruito lo scorso anno due mega-pannelli, tutti realizzati con lattine, che raffigurano il logo del festival. Le lattine di alluminio si sono evolute nel tempo e hanno subito notevoli cambiamenti, a cominciare dalla loro apertura. All’inizio, infatti, per poter accedere al loro contenuto, era necessario praticare due fori diametralmente opposti sull’estremità superiore e solamente nel 1962 Ernie Fraze inventò la linguetta a strappo, primo passo che apriva la strada alla linguetta che non si stacca, inventata nel 1976 ma diffusasi solamente a partire dagli anni Novanta. La lattina che rivoluzionò il modo di bere in tutto il mondo ebbe però il suo tallone d’Achille. Nel 2002, infatti, in Svizzera una donna morì di leptospirosi dopo aver bevuto direttamente da una lattina contaminata dalle urine di topi e alcuni anni prima si erano registrati in Italia casi di salmonellosi sempre causati da lattine sporche. L’inconveniente fu risolto con il cosiddetto "
healthy cap", una capsula di plastica applicata sulla parte superiore della lattina con la funzione di proteggerla da contaminazioni esterne. Dal 2007 è stata messa sul mercato una nuova lattina, chiamata "
sleek can" (che significa slanciata, affusolata) non più fabbricata in alluminio ma in acciaio riciclabile. Il contenuto è sempre di 33 cl, ma la nuova forma più slanciata consente un miglior stoccaggio del prodotto. Se, infatti, un cartone di vecchie lattine poteva contenerne venticinque, lo stesso cartone può contenerne trenta del nuovo formato. Non mancano le lattine speciali, oggetto di culto per i collezionisti. Ne esistono perfino col refrigeratore. Altre, invece, hanno la cannuccia incorporata e sono dotate di un particolare dispositivo a pressione. Ma queste ultime non cercatele al bar. Sono, infatti, rarissime perché usate nelle missioni spaziali della Nasa.