Duole constatare come uno dei più importanti giornalisti italiani abbia potuto, nel suo editoriale del 29 dicembre 2013 su “la Repubblica”, raccogliere in uno spazio limitato un così gran numero di affermazioni tanto contestabili quanto intrise dei più triti luoghi comuni dell’antigiudaismo, da cui la cristianità negli ultimi decenni, a partire dal Concilio Vaticano II, ha cominciato a liberarsi.Nel suo articolo Eugenio Scalfari espone una tesi assai audace: Papa Francesco avrebbe abolito il peccato. Se ben comprendiamo il suo pensiero, il suo ragionamento sembra essere questo: se l’uomo è schiavo, ossia sottoposto a una legge, allora può peccare; se è libero, ossia non sottoposto a una legge, allora non può più peccare. A nostro avviso il ragionamento va capovolto: proprio perché l’uomo è libero può peccare, se fosse schiavo, nel senso di necessariamente determinato ad agire in un certo modo, allora non potrebbe agire che secondo la sua natura, e non sarebbe quindi neppure responsabile delle proprie azioni. Scalfari è poi ritornato sull’argomento in un articolo del 31 dicembre 2013 e in un editoriale del 5 gennaio 2014. In quest’ultimo intervento, egli scrive: «Ma – questa è la novità di Francesco – il Papa ricorda che l’uomo è stato creato libero». Ora, ricordare un principio così importante è un’ottima cosa, ma si deve riconoscere che è cosa diversa rispetto all’introdurre in modo rivoluzionario per la prima volta nella storia del mondo, o perlomeno nella storia della Chiesa cattolica, un tale principio.Ma non è su questo che intendiamo soffermarci, quanto piuttosto sulla parte centrale dell’editoriale, che concerne l’ebraismo e la sua relazione con il cristianesimo. Scalfari sostiene che la legge mosaica sia condensata nei Dieci Comandamenti e che non contempli diritti, non preveda libertà, e sia limitata soltanto a ordinare e imporre divieti. Un’affermazione del genere trascura il fatto che la
Torah è costituita da ben cinque libri e che inoltre non vi è solo una
Torah scritta ma anche, inseparabile da essa, una
Torah orale, articolata in
Talmud, Midrash, Qabbalah. Anche limitandosi a considerare la sola
Torah scritta, in particolare le pagine del
Levitico e il
Deuteronomio, si può constatare come l’orizzonte teologico e legislativo non si esaurisca soltanto nei divieti, ma contenga tutta una serie di esortazioni tra cui anche quell’«Ama per il prossimo tuo come per te stesso» (Lv 18,17) che Scalfari considera nato con il cristianesimo, volte a promuovere una vita armoniosa sia per il singolo individuo che per la comunità in cui vive.Dio – anzi Ha-Shem, Colui il cui Nome è un Tetragramma impronunciabile – è sì giusto, ma anche misericordioso. Misericordia si dice in ebraico Rahamim, da una radice che indica l’utero, e basterebbe questo per mettere in evidenza che nel “Dio biblico” accanto all’aspetto paterno, c’è anche una tenerezza materna, che emerge in tanti passi della Scrittura e in particolare nei Profeti.Una delle affermazione più discutibili è che «la legge mosaica non prevede libertà». La scoperta della libertà umana, la capacità di scegliere tra la via del bene e la via del male è uno dei più gradi doni che il pensiero biblico ha fatto all’umanità. Contrapponendosi alla visione classica del Fato che condiziona totalmente ogni esistenza, al quale lo stesso Zeus, il sovrano degli dèi, deve sottomettersi, la
Torah invece sottolinea la capacità dell’uomo di autodeterminarsi: «Ti ho proposto la vita e la morte, la benedizione e la maledizione» (Dt 30,19). Sta all’uomo quindi la scelta del suo destino. Su questo tema ha scritto belle riflessioni Stefano Levi Della Torre in
Essere fuori luogo.Che Dio sia “vendicatore” significa che non è indifferente all’ingiustizia, ascolta il grido degli oppressi ed è toccato dalle loro sofferenze. La "collera" divina è segno del suo amore per l’umanità: «Casa di David, così dice Ha-Shem, amministrate la giustizia ogni mattina e liberate il derubato dalla mano dell’oppressore, altrimenti la mia ira divamperà come fuoco, si accenderà senza che nessuno la possa spegnere, a causa della malvagità delle vostre azioni» (Ger 21,11-12). Dell’ira divina parla anche Shaùl/Paolo di Tarso nella Lettera ai Romani (Rm 2,8 e 3,5).Uomini e donne del mondo biblico non sono schiavi, anzi vengono liberati da ogni forma di schiavitù sia idolatrica che politica, a partire da quella liberazione dalla schiavitù egiziana che è l’evento costitutivo del popolo ebraico, esperienza fondante della fede sia ebraica che cristiana e modello di liberazione umana in generale. Ha-Shem stesso quando per la prima volta si rivolge a Mosè si presenta come liberatore: «Ha-Shem disse: “Ho osservato la miseria del mio popolo in Egitto e ho udito il suo grido a causa dei suoi oppressori, conosco le sue sofferenze. Sono sceso per liberarlo dalla mano dell’Egitto e farlo salire da quella terra a una terra buona e vasta, a una terra dove scorre latte e miele”» (Es 3,7-8). Si veda su questo il bellissimo libro di André Neher,
Mosè e la vocazione ebraica.Anche altre affermazioni di Scalfari andrebbero discusse, come quella secondo cui il Dio mosaico non contemplerebbe alcun Figlio. Innumerevoli sono i passi biblici in cui tale termine compare – rivolto sia al re, sia a Israele, sia al Messia, definito tanto Ben Eloqim, Figlio di Dio, quanto Ben Adam, Figlio del’uomo. Il tema ha avuto un grande sviluppo anche nei testi di Filone Alessandrino e nella mistica ebraica (sul tema Moshe Idel ha scritto
Ben: Sonship and Jewish Mysticism, un volume di 700 pagine).Dopo i lunghi secoli dell’antigiudaismo cristiano, cinquant’anni fa, a partire dall’incontro tra Jules Isaac e Giovanni XXIII, iniziò il lungo percorso che ha portato all’approvazione del documento conciliare
Nostra Aetate. Quel documento, e quelli che su questa tematica seguirono, da ultimo l’
Evangelii gaudium di Papa Francesco, forniscono una guida sicura per il dialogo ebraico-cristiano, proprio per evitare di riproporre quegli stereotipi negativi che possono altrimenti così facilmente riemergere.Seguire dopo quasi due millenni Marcione svilendo il Primo Testamento nella fallace illusione di dare maggior valore ai testi cristiani, sradicandoli così dal loro contesto storico-religioso, è una procedura dalla quale molti cristiani stanno cercando di liberarsi. Suona paradossale che ora siano i laici a farla propria.In questi ultimi decenni molte cose sono cambiate e altre ancora stanno cambiando. Ciò costituisce uno stimolo a lavorare ancora di più in intensità e in estensione per riparare i danni causati dalla teologia della sostituzione e dall’insegnamento del disprezzo.Concludendo il suo articolo Scalfari cita l’
Evangelii gaudium di Papa Francesco: «Bisogna non più chiudere le porte della Chiesa per isolarci, ma aprirle per incontrare tutti e prepararci al dialogo con gli altri idiomi, altri ceti sociali, altre culture. Questo è il mio sogno e questo intendo fare». Scalfari commenta: «Un Papa rivoluzionario ci riguarda e il relativismo di aprirsi al dialogo con le altre culture ci riguarda. Questa è la nostra vocazione al Bene che dobbiamo perseguire con costante proposito».Il nostro auspicio è che Scalfari includa l’ebraismo tra le religioni e culture con le quali auspica il dialogo. Le novità del dialogo ebraico-cristiano, sorto negli ultimi decenni dopo secoli di teologia della sostituzione e insegnamento del disprezzo, fanno un gran bene a tutti: ebrei, cristiani e laici.