Santos López, nato nel 1955 in Venezuela, vive a Caracas. È autore di molte raccolte di poesie tradotte in varie lingue. Per anni ha organizzato e diretto le prestigiose "Settimane Internazionali di Poesia" di Caracas. In Italia ha pubblicato I cercatori d'acqua (Jaca Book, 2008, a cura di Teresa Maresca).Venezuelano, nativo dell'Orinoco, Santos López è poeta di particolare spiritualità: la sua poesia è legata alla pratica dello sciamanesimo, da cui trae gli elementi più forti e archetipici della poesia tout court: il volo e la discesa agli inferi. I suoi versi testimoniano di una continua tensione dell'anima a scendere verso il centro della terra per entrare in contatto con il suo cuore infuocato, e a salire verso il cielo per appercepire la lingua degli uccelli, trasmutarla in poesia. Una grande, ardente e alata tradizione di poeti si muove in questa dimensione, da Goethe a Keats, da Blake a Yeats. Niente di occultistico, sia chiaro, perché l'esperienza spirituale autentica, al pari di quella poetica, mira alla partecipazione al mistero, non all'artefatta produzione di misteri. Seguace della grande linea di poesia metafisica Dante-Eliot, Santos López è poeta di vibrante visione soprannaturale, quanto di partecipe adesione alla realtà naturale del mondo. Così l'esperienza a volte vertiginosa della visione si esprime in una lingua limpida e immediata, di non comune, felice semplicità. Una voce impregnata di archetipi precolombiani e di sapienza metafisica europea, unica, lontana anni luce dalla tendenza spesso baroccheggiante, grottesca, protosurrealista di molta poesia ispanica. Una voce naturalmente magica, incantata prima ancora che incantante, poiché immersa umilmente e sapientemente nel mistero della vita.
Non le chiedo una definizione della poesia. Credo che se un poeta volesse veramente definirla smetterebbe di scriverla. Ma certo non è un puro esercizio dello spirito: il fatto che sia scritta, o, anticamente, sancita e declamata, lega questo esercizio a una speranza di scoperta e durata della vita stessa. Insomma la poesia è necessaria? «La poesia è l'aria che respiriamo, tanto è necessaria. Il poeta acquisisce la consapevolezza che la nostra respirazione è la stessa della terra, dell'universo e del cosmo. La poesia ci invita al risveglio, e perciò il poeta deve creare poesia coscientemente. Il mondo è un'illusione, è un sogno dal quale dobbiamo svegliarci e trovare la nostra spiritualità, questa respirazione cosciente che ci vincola all'essere e all'universo. È ciò che il grande poeta Kabir ci ha rivelato più di cinque secoli fa: "Tra i poli del conscio e dell'inconscio, lo spirito oscilla/ dove stanno sospesi tutti gli esseri e tutti i mondi/ e la cui oscillazione non finisce mai". La coscienza è farsi uno col tutto, questa oscillazione è l'aria che respiriamo. È anche lo stesso insegnamento degli gnostici di più due millenni or sono: siamo estranei a questo mondo materiale, inferiore e malevolo, la nostra essenza originaria appartiene a un oltre del mondo. Il nostro destino non è un luogo in cui dobbiamo andare; il nostro destino è dentro, dimenticato. La poesia è necessaria perché ce lo ricorda, ci invita sempre a rimanere dentro. Dio è dentro. E tutto ciò che brilla dentro è la cicatrice di un cielo».
Quindi lei sottintende, ma neanche troppo, una relazione stretta tra l'esercizio della poesia e la speranza, intendo la speranza di ogni uomo, che, come direbbe Eliade è una sola: la sopravvivenza eterna, il famoso Tesoro nascosto che speriamo di trovare, la fine dei nostri affanni?«Sì, e possiamo sentire la relazione che esiste tra poesia e speranza attraverso la libertà. Il poeta è un accumulatore di libertà, sceglie da sé e per se stesso con coscienza elevata la sua espressione, la forma e il contenuto. La libertà è l'effetto accumulato di tutte le scelte che abbiamo fatto. E il nemico più forte da sconfiggere è la paura. La libertà è un ponte verso la speranza, che è un modello divino, giudaico-cristiano. Se l'anima ama la libertà, lo spirito ama la speranza, che è un sentiero verso l'eternità, l'istante, il "qui e ora", il presente. L'amore salta da adesso in adesso».
La speranza di un al di là felice e pacificato: questo adombra, drammaticamente, spesso tragicamente, il cammino della poesia. Ma nello stesso tempo la poesia svela la ricchezza del mondo, la luce, la forza della vita. Cose che un mondo in crisi spirituale non sa più rinvenire. Allora forse la speranza concreta, immediata, fertile, è quella di una rinascita dell'uomo che torni a sentire l'anima dell'universo, che riscopra la bellezza del creato?«Apprendere la rinascita è contenuto in tutte le tradizioni spirituali dell'umanità. E il rinascimento dell'umanità è ciclico, come accade anche per la coscienza individuale. Hölderlin lo definì "umanità più elevata". La poesia come espressione del regno dell'intuizione, di ciò che è misterioso, del numinoso, potrebbe dare un grande contributo a questo ciclo di morte in cui è entrata questa civiltà. È necessario imparare a morire per poter rinascere. L'uomo oggi ha paura della morte (e in questo l'umanità non è cambiata per niente) e noi poeti dobbiamo insegnare agli altri nostri fratelli come morire bene. La morte è una divinità straordinaria che ogni giorno ci offre insegnamento, ma è stata molto denigrata. Il rinascimento dell'umanità avverrà in direzione della dimensione spirituale. Fino a oggi l'uomo ha cercato di dare un senso alla vita. Ma rimane restio a costruire un senso per la morte. Lo aveva detto Giovanni (3, 5-8): "Il vento soffia dove vuole; ascoltate la sua voce, ma non sapete da dove viene e dove va; così è tutto quello che nasce dallo Spirito". Il poeta e il sacerdote coincidono attraverso il potere della parola: entrambi fanno preghiere».
Mi pare che lei, similmente a quanto io penso, veda una dimensione religiosa intrinseca nella poesia. Che siano due realtà differenti, ma provenienti da un unico impulso originario. L'Homo religiosus, per citare Ries, è contemporaneamente, potenzialmente Homo poeticus? «Nella sostanza sì, ma non utilizzerei il termine "religioso". Può essere ingannevole. A volte, anche oggi, le religioni hanno abusato di questa parola, l'hanno utilizzata per i loro fini terreni, e questo è un peccato. Preferirei dire che c'è qualcosa di sacro nella poesia. I primi a nominare Dio furono i poeti, poi le religioni, i teologi e i filosofi si sono appropriati dell'idea di questa parola. Questo terreno del sacro la poesia lo condivide con la spiritualità, il misticismo e le religioni. William Blake, che per me rappresenta un paradigma, sosteneva che "lo stato primigenio dell'uomo è la sapienza, l'arte e la scienza". Blake assegnava un carattere divino alla forma originale dell'uomo. In qualche modo mi sento partecipe della stessa tradizione di Blake, e a volte ho dichiarato di sentirmi un essere primitivo, magico e moderno. Credo che la poesia sia una via per arrivare alla conoscenza trascendente e alla sapienza; credo che lo spirito sia la realtà fondamentale. Il contrario è presupporre che la materia, il materialismo, sia la verità. Il modo in cui si accede a questo sapere è lo stesso di sempre, il più primordiale o primitivo, quello rituale. È attraverso il rito che entriamo in contatto con la realtà originaria. E il rituale basico della conoscenza umana è conoscere se stessi, o come dicevano anticamente, "visitare l'interno della terra che noi siamo per trovare la pietra occulta che siamo". Cioè, credo che la via sia di ordine iniziatico: l'iniziazione, il viaggio interiore, come lo definì bene Frithjof Schuon, "introduce la presenza del sacro nelle tenebre dell'imperfezione umana".
L’INEDITO LA
COMPRENSIONE DI KHAYYÀMNoi siamo una pietra, una cosacomune, normalelavata tante volte dalla pioggiain una pozza, sorgente o
acquedotto, da sempre levigata nel fondo del fiume,o dissepolta da una madreche abbiamo scelto e non saputo amare quando divenne
vecchia.Noi siamo questa pietra,eterna,
piena di polvere, bagnata come un fiore di sanguenel ventre, una cieca,
addormentata comprensione che sotterriamo ancora.(trad. Teresa Maresca)